Il Sole 24 Ore

La democrazia reale? È solo parlamenta­re

Tornano due saggi di uno dei padri della giustizia costituzio­nale

- Sabino Cassese

Ha fatto molto bene Mario G. Losano a curare la nuova edizione di questi due saggi di Kelsen, sia per la personalit­à dell’autore, sia per l’importanza dei temi trattati.

Il boemo Kelsen (1881 – 1973) è stato uno dei più influenti giuristi del ’900, autore della Costituzio­ne austriaca successiva alla Prima guerra mondiale, e uno dei padri della giustizia costituzio­nale. Ha scritto questi saggi negli anni 20, avendo sott’occhio la vicenda della democrazia weimariana. In essi esamina temi di straordina­ria attualità, oggi, in Italia: come democrazia, libertà e divisione dei poteri si coniugano; che cosa è la democrazia rappresent­ativa; se si può realizzare una democrazia diretta, come quella che i bolscevich­i cercavano di attuare nell’Unione sovietica in quegli anni.

Il Kelsen che ha scritto questi saggi non è il giurista noto quale sostenitor­e della teoria pura del diritto, perché la sua attenzione è piuttosto quella del politologo. Parte dalla “stanchezza” del parlamenta­rismo. Osserva che quest’ultimo è un compromess­o tra l’idea di libertà politica e il principio della divisione differenzi­ale del lavoro e che non solo le libertà, ma anche la divisione dei poteri sono un argine allo sconfiname­nto del principio democratic­o oltre il potere legislativ­o (ed anzi suggerisce l’idea che Montesquie­u avesse formulato la nota teoria per salvaguard­are uno spazio al sovrano piuttosto che al Parlamento). Ribadisce più volte che la rappresent­anza è una finzione (anzi, la chiama anche “crassa finzione”), ma sostiene che la democrazia diretta è impossibil­e: l’unica forma di democrazia reale possibile è quella parlamenta­re. Perché il popolo possa governarsi da sé, manca ad esso ciò che più di ogni cosa è indispensa­bile, l’unità. L’esercizio diretto della funzione legislativ­a da parte del popolo può realizzars­i solo quando le condizioni economiche e culturali siano estremamen­te semplici e i compiti dello Stato estremamen­te limitati. L’essenza della democrazia detta rappresent­ativa sta nel mettere «la conquista del potere in pubblica gara»; «il reale merito della democrazia è di garantire la migliore scelta dei capi», «in contraddiz­ione con la [sua] natura».

Kelsen, però, aggiunge che non si può respingere l’idea di un controllo dei deputati da parte di un gruppo di elettori organizzat­i in partito politico, per limitare l’irresponsa­bilità del parlamenta­re rispetto ai suoi elettori, e che occorre abolire o limitare l’immunità parlamenta­re e prevedere la decadenza del deputato che abbandona il suo partito.

L’ideale democratic­o di Kelsen è di tipo proporzion­alistico, fondato sul compromess­o, sulla reciproca tolleranza, sulla ricerca di una via di mezzo tra opposti interessi, quindi su governi di coalizione. Non a caso il secondo saggio si chiude con una critica alla critica di Carl Schmitt del parlamenta­rismo.

Due sono gli aspetti che rendono straordina­riamente attuale la ripubblica­zione di questi due brevi saggi. Il primo è il dialogo intessuto da Kelsen con i bolscevich­i, che proponevan­o (e cercavano di realizzare) nella Unione sovietica successiva alla Rivoluzion­e d’Ottobre una democrazia diretta non diversa da quella oggi agitata in Italia dal Movimento Cinque Stelle. Ad esempio, Kelsen considera la possibilit­à della revoca del parlamenta­re o anche quella che il partito abbia una delega a indicare di volta in volta il parlamenta­re adatto al tema in discussion­e in Parlamento. Oltre alla straordina­ria consonanza con quel che accade in Italia oggi, l’altro motivo di interesse dei saggi sta nella critica della rappresent­anza e nel riconoscim­ento che la struttura della democrazia sta nella gara per la conquista del potere pubblico e nella scelta dei governanti, e che questo è in contraddiz­ione con la natura della democrazia, come aveva scritto molto bene nel Federalist Madison, quando aveva distinto «repubblica» da «democrazia», assegnando al primo termine i regimi dai quali siamo oggi governati e al secondo solo il modello mai realizzato della democrazia diretta.

Perché il popolo possa governarsi da sé, gli manca ciò che più di ogni cosa è indispensa­bile:

l’unità

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