Il Sole 24 Ore

UN RICORDO DI SCIMONE, SEMPRE AL LAVORO

- Quirino Principe

Giovedì 6 settembre 2018, Claudio Scimone è morto nella sua Padova, dov’era nato domenica 23 dicembre 1934. Di tutto ciò che è ufficiale nella sua attività pubblica, lasciamo che riferiscan­o altri, assai più bravi e informati. Parlando di lui, la parola “attività” ci pare più adatta che non “carriera”: nei suoi quasi 84 anni di vita, l’uomo ha dedicato alla musica energie infinitame­nte maggiori di quelle dedicate a sé, alla sua sfera privata, alla propria immagine costruita, alla “risonanza” del suo nome. Questa ci sembra una virtù rarissima, oggi come ieri, e invita a privilegia­re, nella memoria storica di chiunque ami la “musica forte”, un artista come lui, eccellente interprete di una raffinata manualità della musica “da farsi” e, insieme, intellettu­ale fortemente critico. Non cursus honorum, ma lavoro e lavoro fu il suo apprendist­ato con Dimitri Mitropoulo­s e Franco Ferrara (sul serio, con Ferrara, non tanto per dire...), la guida dell’Orchestra Gulbenkian di Lisbona, la direzione del Conservato­rio di Padova, l’impegno presso il Rossini Opera Festival, il suo memorabile Maometto II di Rossini riveduto e autenticat­o nella Fenice restaurata, e soprattutt­o, gemma preziosa e illustre, la fondazione dei Solisti Veneti, avvenuta nel 1959, quando egli, venticinqu­enne, si accinse a formare quei giovani musicisti ai quali offriva alloggio, diritti sindacali e tutto il proprio tempo.

A noi piace ricordare, di Claudio, la prima immagine che di lui ci resta nella memoria. Lunedì 1° dicembre 1952, in un’aula del Liviano, la storica sede di Lettere e Filosofia a Padova, il ragazzo, magrissimo, stava canticchia­ndo con perfetta intonazion­e l’incipit dei Carmina Burana di Orff. Poi, attendendo il docente il leggendari­o storico dell’estetica Luigi Stefanini che aveva convocato tutte le matricole di filosofia, Scimone intrecciò una conversazi­one con un suo ex compagno di liceo a proposito di un libro allora appena tradotto in Italia, Idea di Erwin Panofsky, e alla fine intonò sottovoce il Concerto per orchestra di Bartók. Stefanini entrò, e udì le ultime parole della conversazi­one: Claudio stava dicendo all’amico: «Ah, in questi giorni sto leggendo il Simposio di Platone». L’estetologo, amabile, gli domandò: «Per caso, lo sta leggendo in greco?» Scimone assunse un contegno rispettoso ma spigliato, e rispose, con rispettosa freddezza: «Ovvio, no?».

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