Il Sole 24 Ore

Ulisse, ora sappiamo veramente chi sei

Giulio Guidorizzi riscrive la vita di Odisseo e squarcia la classica tela narrativa fatta di tempeste, ciclopi, sirene e perfide maghe. L’avventurie­ro è raccontato «da fuori», visto dai comprimari dell’epica vicenda

- Piero Boitani

L’imperatore Adriano, pare, domandò una volta all’oracolo di Delfi quale fosse l’origine di Omero e di chi fosse figlio. La Pizia rispose con un vaticinio in esame

tri che diceva: «Sconosciut­a è la

stirpe e la patria che mi domandi / della divina sirena. Ma sua sede è Itaca, / Telemaco il padre ed Epicaste di Nestore figlia / la madre, che lo generò tra i mortali di gran lun

ga in tutto sapiente (pánsophon)».

Ulisse, secondo questi quattro versi, sarebbe insomma il nonno di Omero, Omero il nipote di Ulisse «onnisapien­te». Ne deriverebb­e, dopo l’uscita di questo libro, che Giulio Guidorizzi, in quanto discendent­e di Omero, è (n volte) pronipote di Ulisse. È divertente immaginarl­o. Senonché Guidorizzi stesso dedica il libro a suo figlio … Ulisse. E allora tra nonni, padri e figli non si capisce più nulla, e sembra di trovarsi in un racconto di Borges come L’immortale, che proprio di Omero e Ulisse tratta.

L’apologo, però, contiene un

nocciolo di verità. In primo luogo

perché Giulio Guidorizzi ha già pubblicato Io, Agamennone (Einaudi, 2016: Sfidare Apollo, splendida follia, «Domenica» dell'8 maggio 2016), e sta per pubblicare

Il grande racconto della guerra di Troia (Il Mulino). Con quest’ultimo verrà così a comporsi una (prima?) trilogia mitica che forse anche l’antenato di Guidorizzi, Omero, avrebbe invidiato. In secondo luogo, perché Guidorizzi condivide col padre o con il figlio, Ulisse, la straordina­ria abilità di narrare. Quella che incanta i Feaci quando lo straniero che si è appena rivelato comincia a raccontare le sue avventure: «Troia era caduta per l’astuzia di quell’uomo che stava insieme a loro, questo era vero, lo dicevano tutti. Ma molto meglio che ascoltare i racconti del cantore era sentire le parole dello straniero; e vederlo mentre parlava e si guardava intorno con i suoi occhi acuminati come una spada. Nessuno fiatava, le loro menti erano prese in una rete. Le parole uscivano dalla bocca dello straniero come da una cascata; sapeva raccontare, sapeva alternare i silenzi con le parole e la sua voce era bellissima». Parola di Nausicaa. Le tue storie le racconti come uno che sa, come un aedo, dice il padre, il re dei Feaci Alcinoo, a Ulisse, nell’Odissea.

Nessuno può resistergl­i, quando racconta: non Circe, non Calipso, che devono aver trascorso parte degli otto anni ad Eea e a Ogigia stando a sentirlo; non Eumeo, non Penelope. E neppure, nei tremila anni che ci separano da lui, un Virgilio, un Ovidio, un Dante. No: non Tennyson, Conrad, Joyce, Giono, e tutti quelli che hanno provato a narrarlo di nuovo. L’Odissea, questo primo romanzo del mondo, Guidorizzi la srotola, la stende e la riavvolge come la tela che Penelope tesse di giorno e disfa di notte. Una tela che copre tutta una parete. Sottile, lavorata ad arte, piena di mostri, uccelli, piante; un polipo che circonda i pesci con i suoi tentacoli; guerrieri sui carri; il mare viola, una barca che si avvicina a un’isola. Penelope «ci ha messo la sua anima, tessendo d’istinto quello che le veniva in mente di giorno in giorno; poi la notte, quando la disfaceva, vedeva le forme annullarsi e svanire come ingoiate dall’aria; e il giorno dopo ritessendo­la ne creava di nuove». A Penelope piace fare e disfare e rifare, e vorrebbe continuare la tela anche dopo il ritorno di Ulisse.

Allo stesso modo procede il racconto di Ulisse: come la sabbia increspata dal mare, che disegna sulla riva un’esile, scura linea appena percettibi­le, cancellata a ogni respiro delle onde e subito rifatta. Così, per esempio, l’incontro con Polifemo si trova, insieme alla tela, in un capitolo non per nulla intitolato Diéghesis: cioè racconto. Che, sin dall’inizio, sembra immerso in un sogno, come quello che avvolge le notti di Penelope. Ma è un sogno vividissim­o, quasi fossimo ne Il mondo come meditazion­e di Wallace Stevens, dove Penelope, nel dormivegli­a del mattino, sente una forma di fuoco che si avvicina alle sue cretonne e dubita e medita, e la meditazion­e è il mondo: «È forse Ulisse che sopraggiun­ge dall’oriente, / interminab­ile avventurie­ro?». Un sogno creatore, dalle partiture perfettame­nte cadenzate: Onéirata, Xenía, Aoidé, Eschatiá, Kóre, Diéghesis, Nóstos, Mégaron: le parole greche non appaiono vezzi di studioso, ma danno struttura e forma alla narrazione, come i titoli dall’Odissea negli schemi dell’Ulisse che Joyce distribuiv­a agli amici. Costruisco­no impalcatur­e narrative, segnando progressi, scarti, regressi, pause, sorprese e suspense: perché allo stesso tempo riscrivono e interpreta­no la narrazione originaria, l’Odissea. Perciò, il lettore che conosce l’originale omerico si gode Ulisse doppiament­e, come chi, osservava il filosofo, ascolti musica che già conosce: la prima volta, infatti, si trattava di «acquisire conoscenza», ma la seconda di «riconoscer­la».

Nella sequenza cangiante di Ulisse c’è polifonia da contrappun­to: il racconto è molto spesso fatto dai, o dalle, protagonis­te, in prima persona, ma queste voci hanno il medesimo ritmo incantator­io: attorno al sogno, unificano. Conferisco­no urgenza interiore, danno l’impression­e di rivelare i motivi che muovono i personaggi, al punto che Ulisse avvince come un romanzo psicologic­o moderno. Irresistib­ile, per esempio, la voce di Nausicaa, la kóre al centro del libro. In quella voce vediamo per la prima volta Ulisse da fuori, quale lo vede lei – e lei invece come riverbero: «Ha cominciato a parlare da lontano, appena fuori dal canneto, tendeva le mani a supplicare e ho capito che non mi avrebbe fatto del male. Aveva una voce profonda e armoniosa, non ho mai sentito una voce così bella, e sceglieva le parole giuste…Mi ha pregato; ha detto che ero bellissima, come una giovane palma: così ha detto, una palma, e mi ha stupita perché da noi nessuno paragonere­bbe una persona a un albero. Ha lodato i miei capelli biondi e i miei occhi celesti come acqua chiara, dicendo che solo le dee li hanno così... Ho sentito qualcosa d'insolito nel cuore, mai nessuno li aveva paragonati a un cielo così bello».

La morte che s’agita sul fondo di Ulisse con le misteriose Sirene e l’incontro con la madre all’Ade non riesce a turbare né la felicità che Ulisse e Penelope tenacement­e perseguono per vent’anni né quella di Guidorizzi narratore: il quale assomiglia sempre di più a quel che Aristotele dice di se stesso: più invecchio, più mi scopro amante del mito. Nell’ultima pagina di questa bellissima riscrittur­a Ulisse e Penelope sono finalmente a letto insieme. Allora, dopo l’amore e i racconti, Penelope prende la spada del suo uomo e squarcia, infine, la tela.

Sono le voci dei protagonis­ti

a rivelare i veri motivi dell’agire

dei personaggi

 ?? AFP ?? Come ti chiami, straniero? Kirk Douglas (Ulisse) e Rossana Podestà (Nausicaa) nel film «Ulisse» (1954) di Mario Camerini
AFP Come ti chiami, straniero? Kirk Douglas (Ulisse) e Rossana Podestà (Nausicaa) nel film «Ulisse» (1954) di Mario Camerini

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