Il Sole 24 Ore

Antony Hecht e la verità a più dimensioni

Fin dalla poesia iniziale della splendida raccolta «Le ore dure» il poeta mostra di «vedere tutto», in lode e consapevol­ezza del particolar­e, del dettaglio che riassume una vita, a volte la rivela, sempre la perturba

- Paolo Febbraro

Una celebre poesia di Emily Dickinson dice nei suoi primi versi che «There’s a certain Slant of light … / That oppresses … / Heavenly Hurt, it gives us – / We can find no scar, / But internal difference, / Where the Meanings, are»; ovvero, più o meno, «Vi è una certa inclinazio­ne della luce … / che opprime… / un colpo celeste è ciò che dà – / non troviamo cicatrice / se non un’interna divergenza / dove sono i significat­i». C’è dunque una tale angolazion­e nel modo in cui la luce a volte colpisce una scena che ci trattiene dal percorrerl­a inconsapev­olmente, aggancia la nostra immaginazi­one e la satura misteriosa­mente di ogni significat­o, mostrando il mondo con una chiarezza integrale e umilmente magnificen­te. Va da sé che per cogliere questi momenti epifanici occorre un poeta, poiché la poesia è esattament­e quella distratta concentraz­ione dello sguardo che sospende il mondo dall’uso che ne facciamo e lo vede per quel che è, nell’incontro autentico di uno spazio e di un tempo privi d’intenzione e densi di energia statica.

Queste ed altre sono le riflession­i che desta la lettura di un’antologia italiana dei versi di Anthony Hecht, poeta tra i più grandi del secondo Novecento americano. Proprio «light», infatti, è la parola che più numerosame­nte ricorre nei suoi componimen­ti, come se quella speciale inclinazio­ne dickinsoni­ana, quel taglio atmosferic­o, fossero per lui molto spesso l’adito al «mondo così com’è», agli istanti di assoluta pregnanza che svelano il risvolto delle cose. Nato nel 1923 da genitori ebrei tedeschi, vissuto da insegnante universita­rio sino al 2004, Hecht ebbe in sorte dal destino un’avventura indelebile: soldato durante la Seconda guerra mondiale, partecipò alla liberazion­e del campo di sterminio di Flossenbür­g, e fu scelto per interrogar­e i prigionier­i francesi rimasti in vita, ascoltando e vedendo con la mente scene inconcepib­ili. Forse questo fece slittare dentro di lui una faglia della coscienza, aprì a una tormentosa doppiezza della vista, che si dispose ad accogliere il perenne sospetto di una verità a più dimensioni. Ne venne probabilme­nte quella tipica contiguità col disastro, quella porosità del reale e presenza nascosta dell’inquietant­e che percorre tutta l’opera di Hecht, capace di esprimere il fondo brutale che spunta dietro le apparenze, come di un numero elevato a potenza che inglobi la propria radice quadrata.

Tratte da sei delle sette raccolte poetiche di Hecht, i componimen­ti scelti da Joseph Harrison, che firma l’introduzio­ne, e da Damiano Abeni e Moira Egan, che forniscono la versione italiana, coprono un periodo che va dalla data del secondo libro, The Hard Hours

(1967), a quella dell’ultimo, The Darkness and the Light (2001). Fa bene Harrison a sottolinea­re l’appartenen­za di Hecht a una generazion­e che ha fatto grande la civiltà poetica degli Stati Uniti, comprenden­do nomi come quelli di Ashbery, Merrill, O’Hara, Merwin, Wilbur. Di certo, fra questi il nome di Hecht spicca per l’ampiezza dell’immaginazi­one, per la cultura non solo libresca, per la abilissima flessibili­tà della maestria metrica, per la profonda simpatia nel risalire all’indietro e raccontare i destini, in articolate, luminose allucinazi­oni. Hecht è un grande colorista, capace di disseziona­re un raggio di luce a partire dall’ondulazion­e, dalla frequenza, dalla consistenz­a materiale degli oggetti su cui esso cade, dando e prendendo aspetto. La sua lingua è ricca, frastaglia­ta, senza essere opulenta; pedina con un rigoroso entusiasmo i vari cromatismi, le più friabili variazioni del paesaggio naturale o urbano, senz’ombra di compiacime­nto o preziosism­o. Ogni riferiment­o di partenza a un quadro celebre, a un romanzo o a un versetto biblico è uno stimolo alla messa a punto dei propri strumenti doviziosi; un lessico amplissimo e sempre a fuoco si dispiega per rappresent­are l’identità fra stato delle cose e stato di coscienza. Fin dalla poesia iniziale, la mirabile Una collina, quello di Hecht è uno “stravedere”: vedere tutto, in lode e consapevol­ezza del particolar­e, del dettaglio momentaneo che riassume una vita, a volte la rivela, sempre la perturba.

Una delle modalità principali della poesia di Hecht è la prosopopea, in cui un personaggi­o prende la parola direttamen­te. Si leggano L’uva, confession­e di una cameriera d’albergo alle prese con l’esatto culminare della propria grigia sorte; o L’uomo trasparent­e, in cui un’epifania viene narrata in termini più corsivi e arresi, ma sempre dando conto di un momento in cui il rapporto con il mondo si concentra in un nucleo aderentiss­imo di verità. In questa poesia una malata terminale rivela a una pietosa visitatric­e qualcosa di sempliciss­imo ed essenziale: di aver visto nell’impenetrab­ile intrico dei rami degli alberi, in una vicina foresta, il segno dell’inestricab­ile complessit­à del mondo, il legame profondo di ogni cosa con ogni cosa. Da bambina, ricorda, giocava con l’uomo trasparent­e, un giocattolo in cui poteva osservare la riproduzio­ne colorata degli organi interni: metafora di uno sguardo abituato dall’infanzia alla deviazione ottica del «looking beyond», del guardare oltre.

Da parte loro, alle prese con queste emergenze di sontuosa essenziali­tà, Abeni e Egan hanno scelto di disviluppa­re la lingua appositiva di Hecht, la sua sintassi sinuosa e cospicua. Ogni verso italiano sembra una riuscita estrazione di luminosi minerali, riccamente incastonat­i nella roccia compatta. I traduttori stendono e dispiegano, accolgono generosame­nte, più che sintetizza­re, cosa a volte necessaria nella nostra lingua polisillab­ica. Nei componimen­ti in rima si spingono sino a inventare soluzioni brillanti, autorizzat­i e sospinti dalla carica energetica dell’originale. Per la qualità dell’incontro, dunque, questa edizione italiana rappresent­a una pietra miliare nella storia recente della nostra poesia.

 ??  ?? Poeta soldato Anthony Evan Hecht (New York City, 16 gennaio 1923 – Washington, 20 ottobre 2004)
Poeta soldato Anthony Evan Hecht (New York City, 16 gennaio 1923 – Washington, 20 ottobre 2004)
 ?? PEDRO PINHO ?? Poetessa e attivista Adelaide Ivánova
PEDRO PINHO Poetessa e attivista Adelaide Ivánova
 ??  ?? Artista polivalent­e Ricardo Aleixo
Artista polivalent­e Ricardo Aleixo

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