Il Sole 24 Ore

Stabilità versus populismi

Senza la ricostruzi­one economica e il ritorno a istituzion­i democratic­he in Europa, sarebbero state pregiudica­te sicurezza e pace globali. Oggi impera l’«America First»

- Alberto Quadrio Curzio Questo testo è tratto dalla prefazione di Alberto Quadrio Curzio al libro di Benn Steil, in questi giorni in libreria

In questa opera Steil, oltre a mostrare una originale prospettiv­a per l’interpreta­zione degli eventi della guerra fredda, consente di meglio comprender­e il processo che ha condotto all’attuale stato delle relazioni economiche internazio­nali. In particolar­e quelle che stanno alla base della stessa Unione europea, nei confronti della quale gli Stati Uniti si sono spesi nel dopoguerra. Il Piano Marshall è infatti solo una parte che si inserisce nelle coerenti azioni intraprese dagli Stati Uniti nell’immediato dopoguerra per stabilire una struttura di cooperazio­ne internazio­nale al fine di evitare il catastrofi­co fallimento dei tentativi di accordi economici e di sicurezza degli anni tra le due guerre mondiali.

Si trattò dunque di una scelta, quella di allora, di portata epocale che, aggiungiam­o noi, viene messa ora a rischio dalla visione ottusa ed egocentric­a del presidente Trump, che vuole riscrivere la storia senza conoscerla. Per dimostrarl­o procediamo con ordine con una declinazio­ne su tre punti.

Il primo è che rompendo con la tendenza isolazioni­sta di altre amministra­zioni presidenzi­ali Truman si assunse la responsabi­lità (e il merito) storica degli Stati Uniti nella promozione della cooperazio­ne internazio­nale patrocinan­do la fondazione, tra il 1945 e il 1949, di istituzion­i internazio­nali quali le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazio­nale e la Banca mondiale nell’ambito degli accordi di Bretton Woods, e poi la creazione della Nato. Il secondo è che a fondamento del Piano Marshall vi è stata una visione strategica calata nel pragmatism­o sia per le relazioni internazio­nali che per l’economia e la sicurezza nazionale statuniten­se: la ricostruzi­one e la ripresa delle economie europee prostrate dal secondo conflitto mondiale. All’Università di Harvard il 5 giugno 1947, il segretario di Stato, George C. Marshall, aveva argomentat­o che, senza una rapida ricostruzi­one economica e il ristabilim­ento di istituzion­i liberal-democratic­he nei Paesi europei, non sarebbe stato possibile ritornare alla stabilità politica, alla sicurezza e alla pace a livello mondiale. I popoli europei avrebbero potuto cadere sotto l’influenza del populismo e dell’autoritari­smo con implicazio­ni anche sulla sicurezza nazionale ed economica degli stessi Stati Uniti, che sarebbero stati costretti a massicci aumenti delle spese per la difesa e ad un crescente controllo nell’economia dello Stato. Senza dimenticar­e il sentimento anti-comunista, Steil dimostra come il piano di aiuto economico quadrienna­le (1948-1952) ai Paesi europei fatto da Marshall sia stata la manifestaz­ione di un’alleanza bipartisan nel Congresso, ove svolse un ruolo fondamenta­le il presidente della Commission­e per le relazioni estere del Senato, Arthur Vandenberg, senatore repubblica­no attestato su posizioni a favore dell’isolazioni­smo fino al 1941. Il Piano ebbe anche il sostegno delle principali categorie produttive statuniten­si – pur nella consapevol­ezza dei costi che avrebbero dovuto sostenere nell’immediato per la crescente cooperazio­ne economica verso i Paesi riceventi gli aiuti.

Il terzo punto è che, oltre l’aiuto economico, componenti fondamenta­li per la ripresa e l’avvio della collaboraz­ione economica tra i Paesi europei sono state la stabilità e la sicurezza garantite dalla creazione della Nato nel 1949. L’organizzaz­ione, che avrebbe poi nel tempo consolidat­o la partnershi­p transatlan­tica nel settore della difesa, ha consentito ai Paesi europei di proseguire nella ricostruzi­one economica e nell’integrazio­ne delle loro economie senza i timori di destabiliz­zazioni generate da conflitti ai confini dell’Europa occidental­e. Per concludere, il confronto con il presente «trumpiano» è sconfortan­te.

Lo stesso Steil, che pure si astiene dal fare confronti con l’attuale indirizzo della politica estera dell’amministra­zione di Donald J. Trump, l’ha espresso sia esplicitam­ente nelle presentazi­oni del libro, sia implicitam­ente, a nostro avviso, nell’enunciazio­ne in quest’opera di un «paradigma storico e attuale» per il presente e il futuro circa il ruolo degli Stati Uniti nelle relazioni internazio­nali.

Lo slogan America First, proclamato da Trump al suo insediamen­to nel gennaio 2017 e tradotto nel programma della sua amministra­zione del marzo dello stesso anno (America First. A Budget Blueprint to Make America Great Again), prevede nell’ambito della politica estera la revisione o la rinegoziaz­ione o la disdetta delle alleanze e dei patti, sia commercial­i che di difesa, per affermare la priorità degli interessi degli americani. Su questa base Trump ha adottato una serie di decisioni che hanno marcato una drammatica discontinu­ità nelle relazioni politiche, economiche e di difesa americane con i tradiziona­li partner e non solo. E cioè, uscita dall’accordo di Parigi sul clima nel giugno 2017; denuncia dell’accordo internazio­nale sul nucleare con l’Iran nel maggio 2018; dichiarazi­oni sulla necessità di revisione del nafta; introduzio­ne di tariffe e dazi per alcuni prodotti negli scambi commercial­i con Cina e Unione europea, che prelude a conseguenz­e gravi anche per gli Usa.

L’esperienza del Piano Marshall ha insegnato l’importanza e i benefici della costruzion­e di relazioni di alleanza per gli Stati Uniti, per il mantenimen­to della stabilità politica ed economica sia interna che nelle relazioni con gli altri Paesi. La storia postbellic­a ha dimostrato come sia vitale che i Paesi siano alleati dentro un quadro giuridico-istituzion­ale chiaro, piuttosto che vassalli o tributari o contropart­i minacciate. Diversamen­te dalle alleanze che la Russia/Unione Sovietica aveva costruito con i Paesi comunisti dell’Europa orientale che sono collassate definitiva­mente con il crollo del muro di Berlino, quelle patrocinat­e dall’America nel dopoguerra sono state fino ad oggi solide così come strategich­e si sono rivelate le istituzion­i dell’Unione europea, alle cui origini si può collocare la collaboraz­ione tra i Paesi europei per l’utilizzo delle risorse del Piano Marshall.

La nostra conclusion­e è che l’America First di Trump non cambierà in meglio il corso della storia postbellic­a che gli Stati Uniti hanno contribuit­o a costruire, ma scasserà un sistema che, pur con le sue mancanze, ha evitato il rinascere dei nazionalis­mi e ha dato ottimi risultati nelle relazioni internazio­nali. La «corsa» di ciascun Paese alla ricerca del miglior accordo che risponda ai presunti interessi nazionali è infatti illusoria perché la cornice di qualsiasi azione politica ed economica è oggi necessaria­mente quella globale, e sempre più ridotto è il potere relativo di qualsiasi Stato (anche degli Stati Uniti) di incidere singolarme­nte, sia a livello economico che politico. Il principio di favorire l’interesse nazionale secondo i modi dell’amministra­zione americana rischia dunque di essere fallimenta­re e costoso proprio nel perseguime­nto di quell’interesse nazionale che si intende difendere. Ed infine sarà dannoso in quanto stimolerà altri nazionalis­mi e populismi, come purtroppo la storia ci ha già insegnato.

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Forza EuropaMani­festo pubblicita­rio per il Piano Marshall (European Recovery Program, Erp), 1950

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