Tutti pazzi per Bruges, la colta
La città di Van Eyck, Memling e Rodenbach è sempre stata un passaggio obbligato del turismo culturale, che visita il Groeningemuseum e l’Ospedale di San Giovanni. Oggi la componente mediatica chiama in causa anche il cinema
Infatuazione. Così chiamava Vittorio Sereni quell’ossessione per i luoghi degli scrittori che ci impone di andarli a visitare, di ricalcarne le tracce, di respirarne l’aria. Alla ricerca non tanto del tempo ma del luogo perduto. Scrivendo del poeta di cui era infatuato, René Char – che a più riprese tradusse, e i cui luoghi appunto andrà a visitare ossessivamente, sino a sfinirlo – disse una volta Sereni che la sua terra, Valchiusa in Provenza, era «il testimone invisibile e permanente della sua creazione». Tanto più misteriosamente trasmittente, quella «terra», quanto più oscura ed ellittica la «creazione» che ne derivava: «Matrice costante d’immagini almeno per l’ingrediente di fisicità che concorre a formarle». E Char avvertirà Sereni che la sorgente di quell’assenza-presenza restava la poesia che l’aveva codificata una volta per tutte, una poesia nata proprio lì, a Valchiusa: la poesia di Petrarca, cioè. Al di là di quello che lo contrapponeva a Char, era questo rapporto insieme visibile e invisibile, tra luoghi e scrittura, a legarlo a lui indissolubilmente.
Non sempre consapevole di questi moti interiori, vibratili sino all’isteria, a sua volta in qualche modo li segue ogni turista letterario. Una figura che solo oggi si comincia a studiare organicamente, specie in Inghilterra (dove, negli anni Quaranta dell’Ottocento, è stato inventato il turismo organizzato; e dove nel 1810 uscì la prima Guida a un Luogo Letterario, il Lake District, scritta proprio dal poeta che ne aveva fatto leggenda, William Wordsworth...), ma che si conosce da un pezzo: se è vero che i giovani gentlemen, spediti nel Grand Tour a educare gusto e sensibilità, fissavano a Napoli il loro capolinea perché lì è sepolto Virgilio.
I sepolcri degli scrittori, le loro eterne dimore (nella tradizione cui ha messo capo Tumbas di Cees Nooteboom), sono le mete per eccellenza del Turismo Letterario, dal Poets’ Corner alla Westminster Abbey a Santa Croce in Firenze: luoghi di culto, dunque, in senso tanto metaforico che letterale. Ma le Guide Letterarie le distinguono dalle case degli Spiriti Magni (in inglese, suggestivamente, haunts: case, cioè, da loro «infestate»), e poi dai luoghi descritti nelle loro opere. Al punto che la Meta per eccellenza, oggi, è un luogo inventato
come la Platform 9 ¾ alla stazione londinese di King’s Cross, dalla quale ogni primo di settembre partono gli studenti di
Harry Potter. Che, ovviamente costruita per l’occasione, è oggi sede di redditizia exploitation: la foto “ufficiale”, con sciarpa e bacchetta magica fornite dagli esercenti, costa dieci sterline.
Ancora più salato il conto (€ 19,50) dell’“esperienza completa” (comprensiva cioè di visita alla mostra storica, foto in paramenti regali di plastica su trono posticcio – col tappeto, però, che riproduce quello di una delle immagini più prestigiose del luogo, la Madonna col canonico Joris Van
der Paele di Jan Van Eyck –, viaggio nell’Autunno del Medioevo in Virtual Reality e, per finire, boccale di birra dei Frati Trappisti) all’Historium: turistodromo à la Las Vegas installato in un vero edificio storico della Marktplaats, nel centro di Bruges. Almeno dalla grande mostra dei Primitivi Fiamminghi del 1902, la città di Van Eyck e Memling è passaggio obbligato del turismo colto, quello che non si perde il Groeningemuseum e, davvero unico, l’Ospedale di San Giovanni. Ma il sincretismo dell’Historium fa appello a un’altra forma di turismo, da infatuati mediatici (l’“amo”, ora, è il divertente thriller d’una decina di anni fa, In
Bruges, con uno svampito Colin Farrell): dove si vede come quello che gli anglosassoni chiamano HSLT, cioè Heritage, Screen and Literary Tourism, mescoli sempre piani e livelli diversi. La stessa parola «Heritage», che noi rendiamo con «patrimonio», ha un significato difficilmente traducibile; Marco d’Eramo l’ha resa una volta con «retaggio».
L’incredibile volume d’affari di questa branca merceologica non ci deve far dimenticare i tempi in cui gli infatuati che si potevano permettere il pellegrinaggio erano davvero happy
few. Proprio quello di Bruges è un case study avvincente: se l’innesco iniziale è un testo rarefatto ed enigmatico come Bruges la
morta, capolavoro narrativo del poeta simbolista Georges Rodenbach pubblicato nel 1892. Quella per questo poema verbovisivo di amore, ossessione e morte – dal quale scaturirà nel 1958, tramite i giallisti Narcejac e Boileau, un capolavoro come Vertigo, La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock –, che proprio l’infatuazione per l’am- biente mette a tema, era divenuta a inizio Novecento, per i “crepuscolari” italiani, una vera e propria mania. Ma, come ha ricordato di recente un infatuato di oggi – Francesco Targhetta, candidato al Campiello con l’ottimo Le vite potenziali –, i viaggi di questi poeti squattrinati erano tutti virtuali.
Corrado Govoni, che aveva fatto della sua Ferrara «la Bruges italiana», spediva agli amici cartoline della città fiamminga prese, però, sulle bancarelle di Roma. E quando uno di loro, Marino Moretti, fuori tempo massimo a «Bruggia» ci andrà davvero (nel 1925, in compagnia di Filippo de Pisis), ne scriverà in modo quanto meno ambivalente in un singolare diario-romanzo-saggio, La Casa del Santo Sangue.
Ma forse proprio la delusione era lo stato d’animo di cui andavano in cerca, gli infatuati letterari. Alla fascinazione allegorica – per l’immagine sognata leggendo – è subentrata oggi, invece, quella tautologica del turista armato di iphone, che neppure guarda la città nella smania di riprodurre pedissequo, sulla pagina del suo social, il fotogramma cinematografico, o televisivo, preventivamente viralizzato. L’ultima volta che sono stato a Recanati – che ricordavo casereccia e fanée – ho trovato tutto tirato a lucido, fiorente e in attivo. Mi ha spiegato un tassista che da qualche tempo, in effetti, gli affari vanno a gonfie vele. Come mai, gli ho chiesto, Leopardi torna di moda? Non proprio, la gente vuole vedere i luoghi del Giovane favoloso di Martone. È proprio vero che ognuno riconosce i suoi.