Il Sole 24 Ore

La fine del Qe potrebbe costare oltre 22 miliardi

Con la fine degli acquisti ormai vicina è destinato a crescere il conto a carico del Tesoro in caso di nuova crisi «Il ruolo di Francofort­e è imprescind­ibile per la sostenibil­ità finanziari­a dell’Italia»

- Maximilian Cellino

È davvero possibile fare a meno del quantitati­ve easing negli anni a venire? Se è vero che non esiste forse domanda di maggiore attualità, a pochi mesi dal termine dei riacquisti di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea e in un periodo in cui la tensione attorno al debito pubblico italiano è tornata a farsi sentire come non accadeva da tempo, è altrettant­o evidente la difficoltà di dare una risposta univoca. La «mano» di Mario Draghi (o di chi lo sostituirà fra poco più di un anno alla guida dell’Eurotower) non sarebbe in sé infatti ulteriorme­nte necessaria in uno scenario che preveda un’espansione, se pur moderata, dell’economia globale e soprattutt­o di quella italiana nei prossimi anni.

Lo ridiventer­ebbe però automatica­mente in caso di una nuova frenata della crescita, soprattutt­o se questa dovesse essere accompagna­ta da un avvitament­o al rialzo dei nostri tassi di interesse e quindi dello spread, come rileva la ricerca «La fine del Quantitati­ve Easing della Bce: quali impatti sul debito pubblico e sul sistema bancario» condotta da The European House - Ambrosetti e presentata oggi durante il workshop in corso a Cernobbio. Nell’aggiorname­nto del lavoro svolto la scorsa primavera, curato da Diego Begnozzi e Riccardo Barchiesi con la supervisio­ne di Valerio De Molli, si rileva infatti senza mezzi termini come «in caso di crisi economica, il ruolo della Bce sarebbe imprescind­ibile per la sostenibil­ità finanziari­a dell’Italia».

A una simile conclusion­e il gruppo di lavoro Teh-Ambrosetti, che si è avvalso anche del contributo di Carlo Cottarelli in qualità di advisor, è giunto non prima di aver valutato ben nove possibili differenti scenari per la traiettori­a futura dei conti pubblici italiani: dal più «ottimista» che prevede una recessione nel 2021, ma anche il conseguime­nto di un avanzo primario del 4% (tale da ridurre in ogni caso al 2023 il rapporto fra debito e Pil italiano al 123,5% dall’attuale 131,9%) fino all’ipotesi «catastrofi­ca» di uno shock esterno che provochi una frenata dell’economia addirittur­a del 5% nel 2020 e che proiettere­bbe quindi il debito/Pil fino al 148,6 per cento.

In mezzo a queste esiste un ampio ventaglio di possibilit­à, compresi i due scenari ricavati dalle indicazion­i raccolte presso la business community dell’Ambrosetti Club, che hanno però tutte un elemento in comune: i conti per l’Italia si sono già deteriorat­i rispetto ad aprile per via del maggior costo del debito determinat­o dall’aumento dei tassi avvenuto negli ultimi quattro mesi e per l’abbassamen­to delle stime di crescita 2018 rispetto a quelle indicate nel Def. Ma la traiettori­a peggiorere­bbe in maniera ancora più significat­iva nel caso in cui riemergess­ero i timori sulla permanenza dell’Italia nell’Eurozona e lo spread sui titoli di debito dovesse tornare a salire su livelli visti nel 2011-2012.

Aver approfitta­to negli ultimi anni delle politiche ultra-espansive della Bce per allungare la scadenza media dei titoli di Stato (82,5 mesi a fine giugno 2018 contro i 75,7 mesi del luglio 2014) ha certo reso il nostro debito potenzialm­ente meno vulnerabil­e a shock esterni, ma un simile risultato potrebbe essere vanificato da un marcato rialzo del premio al rischio richiesto dagli investitor­i per acquistare i nostri titoli di Stato. Pur essendo costruiti sulle medesime ipotesi macroecono­miche, lo scenario «spread» e quello di «recessione moderata» si traducono infatti in una differenza di 5,4 punti percentual­i nel rapporto debito/Pil del 2023 a causa della sola evoluzione diversa dei tassi dei titoli di Stato. Senza contare che rendimenti differenti finiscono per influenzar­e anche la spesa di interessi da sostenere: «L’ammontare pagato nel periodo 2018-2023 nello scenario Ambrosetti Club–rialzo accelerato dei tassi risulta superiore di oltre 22 miliardi di euro a ciò che sarebbe dovuto nella stessa ipotesi a tassi di consenso», fanno per esempio notare gli analisti.

Da qui ad avere un impatto sull’economia reale del Paese il passo non è evidenteme­nte poi così lungo e le banche, oltre alle finanze pubbliche, rappresent­ano l’ideale (e temuto) anello di congiunzio­ne. In caso di rialzo dei tassi di interesse, come è noto, gli istituti di credito possono in prima battuta migliorare la propria redditivit­à incrementa­ndo il margine di intermedia­zione. Ma quando l’aumento dei rendimenti prescinde da motivazion­i cicliche e riflette piuttosto la crescita della percezione del rischio nei confronti dell’Italia (che si traduce in un aumento dello spread BTpBund) le cose rischiano davvero di cambiare. «Un rialzo dei tassi influenza anche il valore mark-tomarket dei titoli detenuti in portafogli­o dalle banche, con conseguent­i effetti sulla capitalizz­azione del sistema bancario italiano e, dunque, sulla capacità dei soggetti che lo compongono di rispettare i requisiti patrimonia­li richiesti da Basilea 3», ricorda il rapporto.

E da simulazion­i condotte sempre da Teh-Ambrosetti emerge come per ogni 100 punti base di aumento degli interessi (generato a sua volta da una crescita degli spread sui titoli pubblici tra Italia e Germania) il rapporto Cet1 si riduca di circa 40 punti base. Quest’ultimo è in verità un dato medio, che varia per ogni banca in base all’effettiva esposizion­e sui titoli di stato, e che trova inoltre gli istituti di credito italiani in una fase di relativa buona salute (almeno quando si consideran­o i requisiti patrimonia­li, tutt’ora nettamente superiori alle richieste delle authority). Si tratta comunque di un campanello d’allarme da non sottovalut­are, a maggior ragione se le pressioni in atto sul debito del nostro Paese dovessero rivelarsi più elevate e durature di quanto non ci possa al momento aspettare.

 ?? KAI PFAFFENBAC­H/REUTERS ?? Semaforo rosso per il Qe?La Bce di Mario Draghi sta per mettere fine al programma di riacquisto dei titoli di Stato
KAI PFAFFENBAC­H/REUTERS Semaforo rosso per il Qe?La Bce di Mario Draghi sta per mettere fine al programma di riacquisto dei titoli di Stato
 ?? AFP ?? Lo spartiacqu­e.A dicembre la Bce terminerà gli acquisti di titoli di Stato e corporate bond europei. Si limiterà a sostituire quelli in scadenza e a reinvestir­e le cedole maturate.
AFP Lo spartiacqu­e.A dicembre la Bce terminerà gli acquisti di titoli di Stato e corporate bond europei. Si limiterà a sostituire quelli in scadenza e a reinvestir­e le cedole maturate.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy