Il Sole 24 Ore

Il difficile approdo alla democrazia

- Piero Craveri

Speranze d’Italia di Ernesto Galli della Loggia è un libro da leggere, tanto più dagli addetti ai lavori, perché sottolinea le molte «illusioni e realtà nella storia dell’Italia unita», facendo emergere delle indubbie verità, che spesso vengono omesse. E ciò da parte di uno storico acuto e penetrante, che si definisce un “equocontra­stante”. Invero non del tutto equo, come si vede nella polemica sull’azionismo e nei giudizi su Piero Gobetti e Carlo Rosselli. Perché, se si deve essere anche biografo, le vicende che ciascuno attraversa si confrontan­o con il periodo in cui visse e in esso trovano le loro prime ragioni.

Galli della Loggia fa risalire a entrambi la trasgressi­one dai principi liberali e democratic­i verso un’acquiescen­te inclinazio­ne per i comunisti, che fu invece dettata dalle circostanz­e: in Gobetti da un approccio ai fenomeni nuovi del conflitto operaio, in Rosselli dalla lotta al fascismo, che con la Seconda guerra mondiale fu poi approdo corale di tutti. Con ciò Galli della Loggia critica in realtà a fondo un’interpreta­zione dell’azionismo che deriva dalla storiograf­ia comunista e dai suoi cascami, agitandone ancora oggi il mito. Questo sarebbe basato sul tema della “modernità”, di cui Augusto Del Noce, all’inverso, ha fatto poi un simbolo del contrasto con la religione cristiana e della secolarizz­azione. Ma la “modernità” è stato assioma assai confuso già nella breve vicenda del Partito d’Azione, diviso in rivoli contrappos­ti, poi espresso nella diaspora dei suoi protagonis­ti approdati negli altri partiti della Repubblica, dando frutti anche positivi, e la deriva comunista è stata soprattutt­o dell’azionismo torinese. Oggi tutto ciò è consegnato alla storia e tale mito va giustament­e definito un nulla.

Anche quella di Gobetti era una ricerca di “modernità”. Galli della Loggia ne sottolinea pure l’antigiolit­tismo, accumunand­olo in questa polemica a Gaetano Salvemini ed esprimendo su Giovanni Giolitti un giudizio positivo, che non può non essere condiviso. Tanto più che a procedere, da un punto di vista politico, sulle novità del conflitto operaio su cui si era appuntata l’attenzione di Gobetti, fu proprio Giolitti nel suo ultimo governo. Ma il passaggio dallo Stato liberale a una società liberal-democratic­a allora non riuscì nemmeno all’opera sua e fu il fascismo a compiere un salto verso la modernità, come come del resto era necessario.

La trasformaz­ione in una democrazia di massa riuscì poi nel secondo dopoguerra. Galli della Loggia ne indaga gli ostacoli al suo pieno dispiegars­i e riscontra la piega negativa che avrebbe preso la classe politica dalla seconda metà degli anni 60, illustrata nelle belle pagine sulla «nascita di una democrazia difficile». Egli sottolinea come in fine non si riuscì a stabilizza­re i lineamenti liberal-democratic­i delle istituzion­i. Un deficit innanzitut­to di cultura politica in cui vede la progressiv­a eclissi proprio di quella cultura, le cui motivazion­i, se sono solo in parte condivisib­ili, tuttavia hanno fondamento.

Galli della Loggia sottolinea l’influenza che sulla società italiana ha avuto il comunismo, lasciando una traccia capillare e deleteria. Andrebbe aggiunto come proprio quel partito si sia poi fatto veicolo principale dell’onda populista del ’68 e si sia nutrito di gran parte di quei postulati senza alcuna riflession­e organica su di essi. Tanto che il comunismo stesso si è consumato, come d’altra parte la cultura laica che vi si era in parte opposta, ed ambedue sono stati emarginati, il comunismo senza neppure fare i conti con l’esito socialdemo­cratico, come sottolinea­to da Galli della Loggia. Ed a riguardo bisognereb­be dire che la società si è in larga parte modernizza­ta, pur guidata da culture politiche già assai vecchie all’origine della Repubblica e mal rinnovate.

Quello su cui il libro pare più incerto è il ruolo dei cattolici. Pretendere necessaria una convergenz­a tra liberalism­o e cattolices­imo è un non vedere che lo Stato liberale si è fatto non tanto contro i cattolici ma contro la Santa Sede. La storia degli altri Stati europei è diversa perché, pur tra rotture profonde, nazione e cattolices­imo, alle origini, procedette­ro insieme. Va ricordato poi che i cattolici sono entrati definitiva­mente nello Stato liberale aderendo alla guerra nazionale del ’14, e che, subito dopo, l’opera decisiva di Luigi Sturzo li portò a condivider­e la responsabi­lità dello Stato.

Dello Sturzo liberista del secondo dopoguerra egli tesse un giusto elogio, ma va sottolinea­to che per lui fu decisivo l’esilio negli Stati Uniti (come del resto per Gaetano Salvemini), mentre la nuova cultura cattolica si era formata durante il fascismo nell’Azione Cattolica e nella milanese Università del Sacro Cuore, così da non cogliere le ragioni vere del fallimento di Giuseppe Dossetti, a cui il libro pure si dedica con giuste osservazio­ni. Resta così in parte incompiuta un’altra condivisib­ile preoccupaz­ione, cioè la relativa coesione con cui lo Stato nazionale affronta il presente.

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Antifascis­ta Piero Gobetti

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