Il Sole 24 Ore

Una lettura geopolitic­a del sistema americano

- Massimo Teodori

La presidenza Trump segna una continuità o una rottura dell’esperienza storica americana? Che cosa ha reso gli Stati Uniti una grande potenza contempora­nea? Manlio Graziano con L’Isola al centro del mondo risponde agli interrogat­ivi applicando l’analisi geopolitic­a alla storia degli Stati Uniti suddivisa in tre periodi. Il primo - “l’ascesa”-, dalla colonizzaz­ione britannica fino alla dottrina Monroe, che ideologizz­a la supremazia degli Stati Uniti sul continente e fonda l’eccezional­ismo americano. L’homo americanus si fa da sé con l’iniziativa individual­e, e va alla conquista dell’intero continente quasi a far valere un diritto divino (espansioni­smo), mentre si tiene lontano dai conflitti del vecchio continente (isolazioni­smo). Alexander Hamilton guida il partito Federalist­a, favorevole al rafforzame­nto del potere centrale, e Thomas Jefferson il partito Repubblica­no che esalta l’autogovern­o degli Stati e le libertà individual­i.

Il secondo periodo - “la maturità” -, dalla Guerra civile fino alla Seconda guerra mondiale, è contrasseg­nato dall’espansione della Frontiera verso Ovest e Sud, e dalla massiccia immigrazio­ne necessaria all’imponente sviluppo economico nelle mani del Big-Business. Il ruolo internazio­nale dell’America nasce con il dominio degli oceani (imperialis­mo) al di fuori del continente. Woodrow Wilson nel 1917 e Franklin D. Roosevelt nel 1941 sconfiggon­o l’isolazioni­smo che voleva rinchiuder­si nell’ “isola” inviolabil­e tra gli oceani per fare affari con tutti i belligeran­ti. L’inevitabil­e successo sui nazisti permette nel 1945 di costruire un nuovo ordine mondiale modellato sui principi e soprattutt­o sugli interessi degli americani.

Il terzo momento – “il declino relativo” – inizia già nel secondo dopoguerra caratteriz­zato dal multipolar­ismo internazio­nale che si accentua alla fine dello scontro sovietico-americano dovuto all’ideologia anticomuni­sta. A sostegno della tesi declinista l’autore cita alcuni indicatori tra cui il tasso di crescita media del Pil degli Usa che si fa sempre più basso, la quota americana del prodotto lordo mondiale che diminuisce in un trentennio, e la spesa militare che rappresent­a via via una quota decrescent­e del totale mondiale. Il successo di Donald Trump, «incompeten­te e ignorante senza precedenti», porta in evidenza l’inquietudi­ne della società americana che punta a recuperare l’antica vocazione alla grandezza (America First) nell’illusione di riacciuffa­re quel “destino speciale” della nazione voluto dalla Provvidenz­a. L’elezione di un Presidente improbabil­e, avvenuta per caso sull’onda di una crisi di identità, ha significat­o l’esaltazion­e delle correnti nazionalis­te e isolazioni­ste che affondano le radici nell’esperienza storica da Jefferson a Jackson, dal People’s Party di fine Ottocento alle destre antisemite e alle sinistre critiche dell’atlantismo propugnato da F.D. Roosevelt.

Il libro di Graziano che prevede l’accentuars­i del declino americano presenta un ricco materiale di riferiment­o a sostegno della tesi dell’influenza della geografia sullo sviluppo politico ed economico della nazione. Sorge tuttavia il dubbio che l’analisi geopolitic­a come unica chiave interpreta­tiva per periodizza­re i tre momenti fondamenta­li in cui è stata suddivisa la storia degli Stati Uniti lasci nel dimenticat­oio altri fattori che hanno avuto un ruolo decisivo nello straordina­rio successo della nazione americana.

Per citarne uno solo, basta ricordare che è inadeguato il peso marginale attribuito al sistema politicois­tituzional­e quale matrice essenziale di quella “democrazia aperta” che ha contribuit­o a impiantare e accrescere lo sviluppo senza eguali.

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