La Barca di Pietro si fa in quattro
Storia della Chiesa. Un manuale che prende avvio dell’antichità cristiana, si snoda lungo il Medioevo, si allarga nell’età moderna e approda nella contemporaneità, con la linea di demarcazione segnata dal Concilio Vaticano II
«I tempi spiegano le tecnologie, ma l’umanesimo spiega i tempi». Trovo folgorante questa battuta di un articolo di un amico che è un grande latinista, Ivano Dionigi, che è stato anche rettore dell’università di Bologna. In verità quel suo scritto era parte di una lectio accademica e si diramava in una vera e propria costellazione di riflessioni legate proprio a questi due poli entrambi necessari e paralleli ma che hanno subìto un evidente squilibrio ai nostri giorni. Infatti, alla bulimia tecnologica (si pensi solo a quegli «info-obesi» che sono i nativi digitali) corrisponde un’anoressia umanistica. Uno status che lo stesso Steve Jobs, figura al di sopra di ogni sospetto, considerava rischioso perché creava persone spiritualmente rachitiche, per cui non esitava a proporre agli studenti di Harvard – che pendevano dalle sue labbra mentre annotavano le sue parole su un medium «Apple» – il modello dell’«ingegnere rinascimentale» (sic!).
Questa considerazione, che – lo ripetiamo – non vuole amputare la tecnologia per ritornare a un’erudizione di un’accademia esclusiva e altezzosa, mi è venuta spontanea sfogliando un nuovo Manuale di
storia della Chiesa in più volumi. Certo, è probabile che tra non molto tempo simili manuali migrino sui fogli elettronici informatici e non più sulla morbida carta di cellulosa (sono, però, anche in esperimento volumi con fogli di «pietra» flessibili, elaborati con polvere di marmo...). Tuttavia rimarrà sempre la loro funzione primaria, quella squisitamente umanistica di «spiegare i tempi». È ovvio che la pattuglia di specialisti che hanno allestito questo ampio ritratto storico della cristianità hanno approntato i loro testi sui loro computer, hanno consultato probabilmente alcune fonti senza intraprendere viaggi verso biblioteche di altre città, hanno allineato annotazioni e bibliografie senza accumulare schede cartacee, come faceva un mio grande maestro di letteratura greca, Édouard de Places, che aveva imbastito l’intero suo
Lexicon platonicum su minuscoli e volatili rettangolini di carta.
Essi hanno tentato di praticare – sia pure in modo non ancora soddisfacente – una certa interdisciplinarietà. Al riguardo, vorremmo sottolineare solo un aspetto rilevante poco considerato in queste pagine: la storia, soprattutto cristiana, non è fatta solo di eventi, di date e di dati, di protagonisti, comprimari e sudditi, ma anche di letteratura, di arte, di scienza, di sistemi filosofici, al punto tale che un grande teologo come Chenu si auto-accusava nel suo (per altro mirabile) abbozzo della teologia del XII secolo, di aver ignorato le arti liberali, a suo avviso veri e propri loci theologici. Questo manuale che copre l’arco intero della vicenda plurisecolare della Chiesa, dalle origini fino alla linea di demarcazione del Concilio Vaticano II, sottintende anche una particolare attenzione alla variazione che lo statuto epistemologico della storiografia ha registrato nell’ultimo arco di tempo con approcci differenti.
La stessa alta specializzazione, resa agevole proprio dalla tecnologia, permette verifiche e selezioni molto più accurate, così come si è più sensibili a un lettore che ha una recezione (persino visiva) diversa rispetto al passato: ecco, allora, uno stile più limpido e sobrio; ecco l’intarsio degli «inserti» tematici specifici; ecco la scansione in paragrafi in sé conclusi e numerati; ecco il costante ammiccare a un pubblico più ampio, senza cedere alla fluidità di una divulgazione accattivante ma non sempre ineccepibile; ecco anche le selezioni bibliografiche che non accumulano liste minacciose nella loro pletorica abbondanza, ma diventano strumenti di approfondimento.
Detto tutto questo, ritorniamo al punto di partenza. Un simile manuale, pur appartenendo a un orizzonte com’è quello attuale così segnato da una cultura celere dai ritmi scanditi dalla tecnologia, adempie a una missione umanistica, non solo pastorale ma anche culturale in senso generale. Vuole, perciò, non solo registrare un passato ma anche «spiegarlo», «ricordarlo» nel senso etimologico di riportarlo al cuore dell’uomo contemporaneo. Non possiamo ovviamente entrare nel merito dei vari volumi che coprono l’orizzonte che ha il suo avvio nell’antichità cristiana, si snoda lungo il Medioevo, si allarga nell’età moderna (che qui sorprendentemente viene fatta iniziare con lo Scisma d’Occidente, dal 1378 al 1414-18 col concilio di Costanza, e non con la Riforma protestante) e ha il suo approdo nella contemporaneità, che ha appunto nel Vaticano II una meta vicina ma con una distanza sufficiente da permettere l’analisi storica. Possiamo, però, riconoscere che questo sussidio adempie anche alla funzione ermeneutica di comprendere un’avventura storica dai risvolti universali che è stata capace di imprimere un volto all’intera sequenza cronologica dei tempi. Esso riflette, come osserva il Prefetto della Biblioteca Vaticana Cesare Pasini nella sua prefazione, «quella ricchezza umanistica che caratterizza ogni ricerca culturale».
In questo senso si compie veramente il motto completo – solitamente citato in modo monco – presente nel De oratore ciceroniano: Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis («La storia è la testimone dei tempi, luce del vero, vita del ricordo, maestra di vita, messaggera dell’antichità»). I due curatori, Umberto Dell’Orto e Saverio Xeres, accompagnati da una decina di altri storici, hanno contribuito a smentire il pessimismo montaliano della Satura secondo cui «la storia non è magistra / di niente che ci riguardi». Hanno, invece, confermato l’asserto di Giorgio Pasquali presente nella sua raccolta di saggi Filologia e storia
(1920): «Chi non ricorda, non vive». Certo, i tempi sono sempre nuovi, con buona pace dell’Ecclesiaste, convinto che «quel che è stato sarà, quel che si è fatto si rifarà: assolutamente niente di nuovo sotto il sole» (1,9). Come scriveva padre Turoldo, «ogni mattina che si leva il sole, inizia un giorno che non ha vissuto nessuno».
Eppure senza memoria si è come creature infantili, incapaci di percorrere con consapevolezza la strada che si apre davanti a noi. Il grande Eliot ne era così consapevole che non esitava ad affermare: «Un cittadino europeo può non credere che il cristianesimo sia vero e tuttavia quello che dice e fa scaturisce dalla cultura cristiana di cui è erede. Senza il cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietzsche. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto».
Un’opera articolata
che adempie a una missione non solo pastorale ma anche culturale