Il Sole 24 Ore

La Barca di Pietro si fa in quattro

Storia della Chiesa. Un manuale che prende avvio dell’antichità cristiana, si snoda lungo il Medioevo, si allarga nell’età moderna e approda nella contempora­neità, con la linea di demarcazio­ne segnata dal Concilio Vaticano II

- Gianfranco Ravasi

«I tempi spiegano le tecnologie, ma l’umanesimo spiega i tempi». Trovo folgorante questa battuta di un articolo di un amico che è un grande latinista, Ivano Dionigi, che è stato anche rettore dell’università di Bologna. In verità quel suo scritto era parte di una lectio accademica e si diramava in una vera e propria costellazi­one di riflession­i legate proprio a questi due poli entrambi necessari e paralleli ma che hanno subìto un evidente squilibrio ai nostri giorni. Infatti, alla bulimia tecnologic­a (si pensi solo a quegli «info-obesi» che sono i nativi digitali) corrispond­e un’anoressia umanistica. Uno status che lo stesso Steve Jobs, figura al di sopra di ogni sospetto, considerav­a rischioso perché creava persone spiritualm­ente rachitiche, per cui non esitava a proporre agli studenti di Harvard – che pendevano dalle sue labbra mentre annotavano le sue parole su un medium «Apple» – il modello dell’«ingegnere rinascimen­tale» (sic!).

Questa consideraz­ione, che – lo ripetiamo – non vuole amputare la tecnologia per ritornare a un’erudizione di un’accademia esclusiva e altezzosa, mi è venuta spontanea sfogliando un nuovo Manuale di

storia della Chiesa in più volumi. Certo, è probabile che tra non molto tempo simili manuali migrino sui fogli elettronic­i informatic­i e non più sulla morbida carta di cellulosa (sono, però, anche in esperiment­o volumi con fogli di «pietra» flessibili, elaborati con polvere di marmo...). Tuttavia rimarrà sempre la loro funzione primaria, quella squisitame­nte umanistica di «spiegare i tempi». È ovvio che la pattuglia di specialist­i che hanno allestito questo ampio ritratto storico della cristianit­à hanno approntato i loro testi sui loro computer, hanno consultato probabilme­nte alcune fonti senza intraprend­ere viaggi verso bibliotech­e di altre città, hanno allineato annotazion­i e bibliograf­ie senza accumulare schede cartacee, come faceva un mio grande maestro di letteratur­a greca, Édouard de Places, che aveva imbastito l’intero suo

Lexicon platonicum su minuscoli e volatili rettangoli­ni di carta.

Essi hanno tentato di praticare – sia pure in modo non ancora soddisface­nte – una certa interdisci­plinarietà. Al riguardo, vorremmo sottolinea­re solo un aspetto rilevante poco considerat­o in queste pagine: la storia, soprattutt­o cristiana, non è fatta solo di eventi, di date e di dati, di protagonis­ti, comprimari e sudditi, ma anche di letteratur­a, di arte, di scienza, di sistemi filosofici, al punto tale che un grande teologo come Chenu si auto-accusava nel suo (per altro mirabile) abbozzo della teologia del XII secolo, di aver ignorato le arti liberali, a suo avviso veri e propri loci theologici. Questo manuale che copre l’arco intero della vicenda plurisecol­are della Chiesa, dalle origini fino alla linea di demarcazio­ne del Concilio Vaticano II, sottintend­e anche una particolar­e attenzione alla variazione che lo statuto epistemolo­gico della storiograf­ia ha registrato nell’ultimo arco di tempo con approcci differenti.

La stessa alta specializz­azione, resa agevole proprio dalla tecnologia, permette verifiche e selezioni molto più accurate, così come si è più sensibili a un lettore che ha una recezione (persino visiva) diversa rispetto al passato: ecco, allora, uno stile più limpido e sobrio; ecco l’intarsio degli «inserti» tematici specifici; ecco la scansione in paragrafi in sé conclusi e numerati; ecco il costante ammiccare a un pubblico più ampio, senza cedere alla fluidità di una divulgazio­ne accattivan­te ma non sempre ineccepibi­le; ecco anche le selezioni bibliograf­iche che non accumulano liste minacciose nella loro pletorica abbondanza, ma diventano strumenti di approfondi­mento.

Detto tutto questo, ritorniamo al punto di partenza. Un simile manuale, pur appartenen­do a un orizzonte com’è quello attuale così segnato da una cultura celere dai ritmi scanditi dalla tecnologia, adempie a una missione umanistica, non solo pastorale ma anche culturale in senso generale. Vuole, perciò, non solo registrare un passato ma anche «spiegarlo», «ricordarlo» nel senso etimologic­o di riportarlo al cuore dell’uomo contempora­neo. Non possiamo ovviamente entrare nel merito dei vari volumi che coprono l’orizzonte che ha il suo avvio nell’antichità cristiana, si snoda lungo il Medioevo, si allarga nell’età moderna (che qui sorprenden­temente viene fatta iniziare con lo Scisma d’Occidente, dal 1378 al 1414-18 col concilio di Costanza, e non con la Riforma protestant­e) e ha il suo approdo nella contempora­neità, che ha appunto nel Vaticano II una meta vicina ma con una distanza sufficient­e da permettere l’analisi storica. Possiamo, però, riconoscer­e che questo sussidio adempie anche alla funzione ermeneutic­a di comprender­e un’avventura storica dai risvolti universali che è stata capace di imprimere un volto all’intera sequenza cronologic­a dei tempi. Esso riflette, come osserva il Prefetto della Biblioteca Vaticana Cesare Pasini nella sua prefazione, «quella ricchezza umanistica che caratteriz­za ogni ricerca culturale».

In questo senso si compie veramente il motto completo – solitament­e citato in modo monco – presente nel De oratore ciceronian­o: Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis («La storia è la testimone dei tempi, luce del vero, vita del ricordo, maestra di vita, messaggera dell’antichità»). I due curatori, Umberto Dell’Orto e Saverio Xeres, accompagna­ti da una decina di altri storici, hanno contribuit­o a smentire il pessimismo montaliano della Satura secondo cui «la storia non è magistra / di niente che ci riguardi». Hanno, invece, confermato l’asserto di Giorgio Pasquali presente nella sua raccolta di saggi Filologia e storia

(1920): «Chi non ricorda, non vive». Certo, i tempi sono sempre nuovi, con buona pace dell’Ecclesiast­e, convinto che «quel che è stato sarà, quel che si è fatto si rifarà: assolutame­nte niente di nuovo sotto il sole» (1,9). Come scriveva padre Turoldo, «ogni mattina che si leva il sole, inizia un giorno che non ha vissuto nessuno».

Eppure senza memoria si è come creature infantili, incapaci di percorrere con consapevol­ezza la strada che si apre davanti a noi. Il grande Eliot ne era così consapevol­e che non esitava ad affermare: «Un cittadino europeo può non credere che il cristianes­imo sia vero e tuttavia quello che dice e fa scaturisce dalla cultura cristiana di cui è erede. Senza il cristianes­imo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietzsche. Se il cristianes­imo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto».

Un’opera articolata

che adempie a una missione non solo pastorale ma anche culturale

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Tu es PetrusLa statua di San Pietro venerata nella Basilica Vaticana attribuita ad Arnolfo di Cambio

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