Cosa si fa per vincere
Garantismo. Per un bene superiore è giusto punire un innocente o condannare a una pena sproporzionata per disincentivare i reati? Montesquieu ci ha insegnato a rispondere di no
«N el 1916, dopo due anni spaventosi di guerra in trincea, la configurazione del fronte era poco cambiata: gli atti coronati da successo si misuravano a centinaia di metri. E si pagavano con migliaia di vite umane«. Molti ricorderanno l’incisiva descrizione della prima guerra mondiale con cui inizia Orizzonti di gloria, il primo film della celebre trilogia anti-militaristica di Stanley Kubrick, completata dal Dottor Stranamore e Full Metal Jacket.
Orizzonti di gloria racconta un’agghiacciante vicenda giudiziaria, realmente accaduta sul fronte francese: e in Francia il film è stato vietato a lungo, per timore che potesse intaccare il mito fondativo della Grande guerra (mentre in Italia, dove il mito di quella guerra tremenda non è stato meno pervicace, ci si è invece limitati al doppiaggio creativo: nella versione originale, per esempio, le «migliaia di vite» perdute di cui sopra sono in realtà «hundred of thousands»).
Il film racconta di un insensato attacco contro una fortezza tedesca, arroccata sulla cima di una ripidissima collina, che viene ordinato dai vertici dell’esercito francese, sotto la pressione di politici e stampa che li accusano di inerzia. L’attacco è facilmente respinto e un gran numero di soldati francesi muore, falciato dalle mitragliatrici tedesche. Rabbiosi per la disfatta, e alla ricerca di un capo espiatorio, i generali francesi ordinano allora una decimazione: tre soldati scelti a caso sono imputati di codardia di fronte al nemico, processati dalla Corte marziale e condannati alla fucilazione.
L’avvocato difensore, il colonello Dax (Kirk Douglas), si oppone vanamente a questo abominio: come si può imputare qualcuno, e addirittura fucilarlo, senza aver provato che abbia compiuto uno specifico crimine? Al che il generale Broulard (uno straordinario Adolph Menjou) risponde, con qualche condiscendenza, che la guerra bisogna vincerla e che, proprio per questo, le decimazioni sono una pratica consueta nell’esercito francese: «Ci sono poche cose più stimolanti e incoraggianti di veder morire gli altri!», proclama con tono marziale.
Durante la prima guerra mondiale, in effetti, le decimazioni furono comuni nelle forze armate francesi, inglesi e italiane, mentre non lo furono affatto in quelle delle potenze centrali, i cui comandi avevano assai maggiore rispetto per le proprie truppe. Anche se ciò non dimostra che Broulard avesse ragione, a livello teorico si può assumere che le decimazioni siano effettivamente state utili alla Francia e ai suoi alleati per vincere la guerra. Ma se anche se anche così fosse, quella pratica punitiva ne risulterebbe giustificata? Dovremmo, cioè, concludere che vi sono casi in cui, per un bene superiore, è giusto punire un innocente? Oppure (e questa è una variazione sul tema) che sia giusto irrogare a un condannato una pena sproporzionata al reato da lui compiuto, solo perché in questo modo altri potenziali criminali sarebbero scoraggiati dal compiere quello stesso reato, con un beneficio netto per la società nel suo complesso?
La civiltà giuridica contemporanea – con poche non lodevoli eccezioni – risponde negativamente a queste domande. La gran parte dei giuristi, infatti, ritiene che tra le garanzie di cui ogni imputato dovrebbe godere ci siano quelle di essere accusato di aver compiuto reati specifici ed, eventualmente, di ricevere una condanna proporzionale alla propria colpa. In una parola, oggi si accettano i principi del garantismo, la dottrina che pone al centro della normatività giuridica l’esigenza di proteggere i diritti individuali, limitando il potere punitivo dello stato.
Come nota Dario Ippolito nel suo brillante volume Lo spirito del garantismo (che include una prefazione niente affatto d’occasione di Nadia Urbinati), il termine «garantismo» è spesso usato in modo strumentale e formalistico da legulei senza scrupolo. Nondimeno, i principi del garantismo sono il baluardo della concezione giuridica moderna e Ippolito rintraccia con cura e passioni le origini di questa concezione giuridica negli scritti di Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu.
Montesquieu, peraltro, non fu certo un rivoluzionario; tuttavia le sue idee sulla certezza del diritto, sulla divisione dei poteri, sulla tolleranza religiosa, sulla proporzionalità della pena influenzarono profondamente le grandi trasformazioni della fine del Settecento, prima in Nord-America e poi in Francia e nel resto d’Europa. Scrive in proposito Ippolito: «Per l’eterogenesi dei fini che caratterizza ogni grande processo storico, la filosofia giuridica di un ideologico della moderazione influenzò l’opera legislativa degli artefici della rivoluzione».
È triste pensare, però, che la terra che diede i natali a Montesquieu abbia potuto generare Robespierre, i persecutori di Dreyfus come Barrés e Maurras e tutti i Broulard. D’altra parte, in Italia nacque Cesare Beccaria, un altro dei fondatori del garantismo: siamo certi di saper onorare la sua memoria?
I punti cardine: certezza del diritto, divisione dei poteri, proporzionalità
della pena