Modernità araba, conflittuale e difficile
Wael Farouq è un professore egiziano -proveniente dalla Università americana del Cairo- che insegna arabo presso l’Università Cattolica di Milano. In questo suo libro, intitolato Conflicting Arab Identities, si interroga su quelle che ritiene essere le contraddizioni permanenti che caratterizzano l’esperienza della modernità per gli Arabi. Sottointeso rimane che proprio queste contraddizioni che accompagnano la nascita dello stato moderno sono la migliore chiave di lettura per capire l’evoluzione del mondo arabo stesso. Quest’ultima è contraddistinta dall’emergenza continua di «discorsi che si sovrappongono l’un l’altro» (overlapping discourses), sarebbe a dire dalla coesistenza improbabile di discorsi che richiamano da una parte la tradizione ed all’altra la modernizzazione.
Come non è difficile immaginare, il problema implicito nei discorsi modernizzatori consiste nella fatale coincidenza con molte tesi sostenute prima dai colonizzatori occidentali. Il risultato è da un lato una resistenza massiccia a quello che viene concepito come un cedimento all’imperialismo straniero, e dall’altro una dogmatizzazione progressiva del discorso modernizzatore da parte dei suoi sostenitori. Questa dogmatizzazione, che i modernizzatori adottano per proteggersi dalla resistenza conservatrice, paradossalmente fa somigliare i loro discorsi ma anche i loro atteggiamenti a quelli dei tradizionalisti. Finisce così che entrambi gli overlapping discourses siano costretti a fare appello a un passato più o meno utopico che adoperano per legittimare le posizioni (opposte) del presente. Un buon esempio di una struttura mentale del genere è costituito dall’uso sistematico che i modernizzatori hanno fatto -spesso sulla scia di Al-Jabri- della filosofia di Averroé come precursore della modernità. Altro esempio di contraddizione è quello del nazionalismo nasseriano che, partendo da premesse modernizzatrici, arriva a creare un regime autoritario non troppo dissimile da quello consono a uno stato islamista.
Qualcosa del genere non è però -sostiene Farouq- episodico ma strutturale e ha radici profonde nell’identità araba. Quest’ultima, come vi viene proposto nell’affascinante parte prima del volume, ha il suo fondamento nella cultura che diede origine all’Islam, la cultura del deserto. Cosa che tra l’altro spiega, secondo l’autore, la peculiare importanza del mito e della poesia nella cultura araba. E trova puntuale riscontro ai nostri giorni, dove sempre più chiaramente si scopre che li discorso arabo è sostanzialmente uno strumento ideologico per giustificare il potere. Tesi questa che riceve conferma nell’analisi linguistica e nella intrigante decostruzione delle fatwas, là dove il discorso religioso rivela più che mai le sue contraddizioni. Nel suo complesso, il libro offre interessanti strumenti di analisi per comprendere le difficoltà che incontro la nahda, sarebbe a dire l’auspicata rinascita o rinascenza araba, da tutti invocata ma sempre tradita.