Il giovane Jacopo in Accademia
Nel suo giudizio negativo su Tintoretto, Roberto Longhi salvava quanto il pittore aveva fatto «in principio», vale a dire agli inizi della carriera. Il periodo giovanile s’incastona fra il 1538, anno in cui il suo nome appare citato nel documento che ne attesta l’avvio della bottega, e il 1548 che ne consacra la definitiva acclamazione pubblica, conquistata con il Miracolo del santo, il più alto e fragoroso tributo a Michelangelo del Cinquecento veneziano, realizzato per la sala capitolare della Scuola Grande di San Marco.
In tempi recenti è stata compiuta una pesante depurazione del catalogo tintorettesco. Troppi quadri giovanili sono stati declassati e stornati su un modesto pittore delle valli bergamasche, Giovanni Galizzi. Nonostante la falcidia, il corpus delle opere di Tintoretto fino al 1548 annovera la Sacra conversazione Molin, firmata e datata 1540, prima testimonianza certa, gli episodi tratti dalle Metamorfosi d’Ovidio commissionati da Vettore Pisani, la Cena in Emmaus di Budapest, la Conversione di Saulo di Washington, la Lavanda dei piedi del Prado, le Storie bibliche di Vienna, la Contesa fra Marsia e Apollo di Hartford, che è una delle due tele “da soffitto” eseguite per l’Aretino, la Disputa di Gesù nel tempio della quadreria arcivescovile di Milano, l’ Ultima cena di San Marcuola, la Primavera e l’Estate già Barbo, e poco altro; mentre dalla discarica Galizzi oggi sono stati recuperati e restituiti al Robusti alcuni dipinti che vi erano finiti indebitamente, vedi la Madonna e santi già Marcello. L’eccellente mostra alle Gallerie dell’Accademia, intitolata Il giovane Tintoretto, curata da Roberta Battaglia, Paola Marini e Vittoria Romani, va visitata senza soluzione di continuità con quella di Palazzo Ducale. Tintoretto si forma del contesto veneziano degli anni Trenta e Quaranta del XVI secolo (contraddistinto da un andirivieni di artisti indigeni e foresti di varie provenienze) ed è spinto da un’ambizione travolgente: la consapevolezza di poter sfidare tutti e sfondare. A Venezia non mancavano buoni o ottimi artisti: Meldolla, Bonifacio de’ Pitati, Paris Bordon, Polidoro da Lanciano e Pordenone. Oltre a costoro, vi erano transitati i toscani Francesco Salviati, Francesco Porta, Sansovino, Vasari che, a mio parere è per Tintoretto l’ascendente più autorevole dopo Tiziano e Michelangelo. Ma poiché la storia di un pittore della statura di Jacopo non si può istruire unicamente di rimandi, debiti e crediti, l’avvincente raffronto dei quadri giovanili di Tintoretto con gli eloquenti esempi dei sunnominati comprimari è stato pensato a dimostrazione di quanto autonoma sia la personalità del Robusti sin da subito, per capacità d’invenzione, istinto scenografico e stesura del colore. Il tutto visibile nella Disputa di Gesù (1545-46), sintomatica della svolta manierista a Venezia, cui aveva preso parte, poco innanzi, lo stesso Tiziano nella Scuola di San Giovanni Evangelista e alla Salute. La Disputa, dove lo spazio è ormai sregolato, si traduce in un generale scompiglio fra i dottori del tempio, Laocoonti agitati e messi alla ribalta, mentre Gesù, ragazzino dialettico e infervorato, traluce in secondo piano.