Il tenero Alì Babà nato tra i libri
Quaranta ladroni per dieci repliche: largheggia Alì Babà, alla Scala per l’annuale appuntamento del Progetto Accademia. L’ultima opera di Luigi Cherubini – 1833, impietosamente quattro anni dopo il Tell – coinvolge l’intera squadra dei corsi di formazione del Teatro milanese: cantanti (alcuni eccellenti), coro (fresco, di belle voci), orchestra (bravi, virtuosi) fino al corpo di ballo, che mette in campo anche i più giovani. Tutto da premiare per energia e dedizione. Solo con una pecca: l’esotico Alì deve cantare in francese.
In italiano, nella datata traduzione di Vito Frazzi, la partitura di Cherubini, senile e da trattare con cura, diventa spigolosa. «Queste nozze orrende sono», «Dio possente» o «È lui che rapito m’ha quell’angel caro» (vedi Rigoletto) sono esempi di un italiano convenzionale, che a teatro non regge più. Se l’anno scorso, con Hänsel und Gretel, il Progetto Accademia aveva affrontato un titolo in tedesco, meravigliosamente, appuntandosi la medaglia della prima scaligera di Humperdinck in originale, ora si aspettava il bis: con la prima in francese dei Quarante voleurs sul suolo italico. Così il repechage sarebbe diventato un passo avanti.
Meritano le voci dei solisti, in particolare tenore e soprano, destinatari delle uniche due grandi Arie: lui è Riccardo Della Sciucca, che spara subito nel Prologo un bel goal che va a segno; lei Francesca Manzo, nel momento musicalmente più intenso, terzo atto, con l’Aria di prigionia e caverna. Liliana Cavani ritorna alla Scala per una regia tenera, dove la storia si immagina nata sui tavoli di una biblioteca, tra studenti fantasiosi e innamorati. La scena, dietro, ricorda la Braidense e poi un Oriente pittorico, ricostruiti nelle scene splendide di Leila Fteita. Coi costumi di Irene Monti particolarmente curati, anche quelli dei ballerini, valorizzati dalle luci di Marco Filibeck. È molto cresciuto il livello dell’Orchestra dell’Accademia, squadrata nella concertazione di Paolo Carignani. Quasi migliore (sì, esageriamo) della Royal Philharmonic di Londra: impiegatizia nel concerto di apertura di Mito, dove Marin Aslop rende asettico persino il secondo movimento del Concerto di Čajkovskij e il violinista Krylov, funambolo, ha troppi slentando. Uno choc per chi aspettava la bella Julia Fischer, sostituita all’ultimo e non annunciata in sala. Ma il Festival continua!