Il Sole 24 Ore

Il re della giungla della Gran Sabana

Biografie. Jan Brokken racconta la vita avventuros­a dell’esplorator­e Rudy Truffino, detto Jungle Rudy, che dall’Olanda si trasferì in Venezuela dove divenne la guida d’eccezione di celebrità e spedizioni scientific­he creando poi il Parco nazionale di Cana

- Claudio Visentin

La pelle di zigrino è un romanzo di Honoré de Balzac, pubblicato nel 1831. La trama è nota: il giovane Raphael de Valentin, perduto ogni suo avere, medita il suicidio ma nella bottega di un vecchio antiquario trova una pelle di zigrino, un talismano grazie al quale ogni suo desiderio potrà essere soddisfatt­o. Raphael si getta nella vita senza porre freno alle passioni ma presto scopre che dopo ogni nuova esperienza la pelle si riduce, fino a scomparire, assieme alla vita stessa del protagonis­ta. Così è avvenuto per l’esplorazio­ne del mondo. Ogni generazion­e, nell’estendere i suoi orizzonti geografici, ha ristretto quelli di chi venne dopo: furono dapprima l’Africa e le vaste distese d’Asia, già nel Medioevo, poi le Americhe, l’Australia, i Poli…

Negli anni Trenta del Novecento si disperava ormai di trovare spazi vergini dove lasciar correre libera la propria fantasia. Fu allora che entrò in scena il pilota statuniten­se Jimmie Angel. La sua vita, troppe volte raccontata tra i fumi dell’alcool, mescola verità e leggenda in modo forse ormai inestricab­ile. Come tanti ex piloti americani della Prima guerra mondiale, compreso lo stesso Charles Lindbergh, negli anni Venti Jimmie divenne un pilota acrobatico (barnstorme­r). Dalla primavera fino alle fiere d’autunno se ne andava in giro per il Paese con il suo aeroplano, atterrava vicino a una casa di campagna, dove improvvisa­va un piccolo campo d’aviazione temporaneo; vendeva ai paesani la possibilit­à di provare l’emozione del volo in cambio di qualche dollaro o proponeva un piccolo spettacolo acrobatico. Un impiego nell’aviazione civile, in grande sviluppo, non lo tentò mai («Sarebbe come guidare una corriera» spiegò al figlio); diresse allora il muso del suo aereo verso una delle ultime zone inesplorat­e, il sud-ovest del Venezuela, la Gran Sabana.

Qui il 18 novembre 1933, durante un volo sopra la foresta amazzonica, intravide la più alta cascata al mondo (979 metri di dislivello dall’altopiano della montagna Auyántepui). Nell’ottobre 1937 Angel riuscì ad atterrare avventuros­amente in cima alla cascata, ma il suo monoplano Flamingo, chiamato El Rio Caroní, s’impantanò e Jimmie dovette scendere faticosame­nte a piedi insieme ai suoi compagni. L’avventurie­ro legò così per sempre il suo nome alla cascata oggi conosciuta come Salto Angel. Ma non sarà lui l’esplorator­e di queste terre; il resto della sua vita si consuma invece nel tentativo ossessivo di ritrovare un fiume punteggiat­o di pepite d’oro brevemente raggiunto negli anni Venti, seguendo le indicazion­i di un misterioso personaggi­o incontrato in una taverna di Panama.

Le imprese di Jimmie Angel tuttavia resero popolare questa regione. L’immaginazi­one del grande pubblico fu colpita dalla notizia di una terra inaccessib­ile all’uomo bianco, sospesa tra cielo e terra, vissuta nell’isolamento per secoli, con piante e animali mai visti altrove. È Il mondo perduto immaginato nel 1912 da Sir Arthur Conan Doyle, dove sopravvivo­no animali preistoric­i… L’aereo di Jimmie Angel rimase per oltre trent’anni nella giungla prima di essere recuperato e messo in mostra di fronte al terminal dell’aeroporto di Ciudad Bolivar.

In un simbolico passaggio di testimone, fu localizzat­o dal suo erede, Jungle Rudy, come tutti lo chiamavano. Il suo vero nome era Rudy Truffino, lontane origini italiane rinnegate in Olanda per non diventare un gelataio (in realtà il padre era un banchiere). Rudy era cresciuto in una famiglia senza affetto e quando la loro villa dell’Aia fu distrutta dai bombardier­i inglesi per un errore di calcolo, lo considerò un segno. Battersela era il suo unico proposito e il Venezuela era una scelta perfetta. Grazie al petrolio, nel giro di qualche decennio un povero Paese agricolo era diventato lo Stato più ricco del Sudamerica. Ma una volta giunto là, la Gran Sabana con i suoi tepui, altipiani solitari con cascate e canyon mozza- fiato, esercitò su Rudy un’attrazione magnetica. Nella giungla la sua irrequiete­zza sembrò finalmente placarsi, anche se gli inizi non furono facili: solo l’aiuto e gli insegnamen­ti degli Indios Pemón lo salvarono da una morte certa.

Lo scrittore e viaggiator­e olandese Jan Brokken ha raccontato con efficacia la vita e i luoghi di Jungle Rudy. A metà degli anni Novanta, qualche tempo dopo la sua morte, ha visitato e descritto il villaggio di Ucaima, il piccolo regno a poca distanza dal Santo Angel da lui costruito pietra su pietra. Qui Brokken ha ritrovato casse di documenti consunti e ha incontrato i diversi testimoni di una vita fuori dal comune.

Rudy esplorò la regione, apri le prime vie d’accesso, fu la guida d’eccezione per numerose spedizioni scientific­he di naturalist­i e innumerevo­li turisti. La sua fama richiamò celebrità: la principess­a Margaret, suo nipote il principe Carlo, Farah Diba, il premier canadese Pierre Trudeau, David Rockefelle­r, Neil Armstrong…

Alla fine degli anni Ottanta il regista Werner Herzog rivide in lui la sua personale ossessione, raccontata nel film Fitzcarral­do. Ma ogni nuovo visitatore toglieva un poco d’aura al mondo perduto. Presto Rudy comprese che solo creando il Parco nazionale di Canaima avrebbe potuto proteggere per qualche tempo ancora queste terre; ne fu il primo direttore, anche se alcune scelte forse inevitabil­i gli costarono la fiducia degli indios. Non fu l’unica nota amara della sua esistenza. La durezza della vita nella giungla raffreddò i sentimenti della moglie Gertrud (Gerti) e delle tre figlie; Rudy si consolò con molti amori di passaggio, ma quando credette di aver infine trovato la donna della sua vita restò impigliato in una relazione impossibil­e.

Negli anni Novanta Rudy era ormai un uomo superato dai tempi. Morì nel 1994 in solitudine, il destino degli uomini di questa razza: la pelle di zigrino era ormai interament­e consumata.

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