Il Sole 24 Ore

La riflession­e di Orwell al di là di «1984»

- David Bidussa

«In un Paese prospero, la politica di sinistra è sempre in parte fasulla... la maggioranz­a dei politici e dei propagandi­sti di sinistra si guadagna da vivere pretendend­o a gran voce cose che non desidera affatto. Sono rivoluzion­ari infuocati fintanto che fila tutto liscio, ma appena scoppia l’emergenza gettano la maschera. Una minaccia al canale di Suez, e il loro “antifascis­mo” si rivela identico alla “difesa degli interessi britannici”». Si intitola Negri esclusi, è un intervento del 1939 . Non è così invecchiat­o. È il terzo testo di questa raccolta curata da Vittorio Giacopini.

Non è la prima volta che di Orwell si propongono al lettore italiano alcuni suoi scritti politici (una prima raccolta di suoi saggi critici dal titolo Nel ventre

della balena a cura di Silvio Perrella è uscita per Bompiani nel 1996). Ma quegli scritti non hanno mai davvero avuto molta fortuna. Orwell è un evergreen per 1984, fuori da quella distopia non ha mai superato per davvero la soglia dei suoi lettori fidati. L’immagine è quella dunque di un autore di un solo testo:1984. Orwell è invece molto di più e opportunam­ente Vittorio Giacopini ha ritentato con questo libro la scommessa di dare anche al resto il peso che merita. «Vedere cosa abbiamo sotto il naso - scrive nel marzo 1946 - impone una vigilanza costante. Un sistema utile è tenere un diario, o comunque registrare in qualche modo le proprie opinioni sugli eventi importanti. In mancanza di una documentaz­ione, quando gli eventi smentiscon­o senza appello una credenza particolar­mente assurda, rischiamo di dimenticar­e di averla considerat­a vera». [p. 120]

Il testo si intitola Sotto il nostro naso. È un testo in cui Orwell fa i conti con le proprie opinioni e con il costante ritorno e disillusio­ne che ha caratteriz­zato il suo viaggio culturale, emozionale e mentale nella sinistra. Poche righe prima riflettend­o sul tema della natalità [pp. 117-118] sottolinea la problemati­cità in un futuro prossimo di poter mantenere lo stesso livello di welfare avendo la prospettiv­a di una popolazion­e anziana e con pochi figli tanto da delineare una condizione che, con 70 anni di anticipo, non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscer­e nel nostro presente.

Il tema è dunque come osservare la realtà, come interrogar­la, dove e come scavare, anche e soprattutt­o non evitando le domande imbarazzan­ti e le questioni che il senso comune dà per non esistenti. Ovvero l’insistenza sulla funzione pubblica dell’intellettu­ale, come precisa in Il dilemma dello scrittore [qui alle pp. 179-181], un testo del 1948.

Perché scrivere? Perché la politica del Novecento invece di portare verso la libertà ha aumentato il rischio della schiavitù? Ha ancora senso pensare un domani possibile mentre lo scenario propone il trionfo e la forza dei totalitari­smi? Perché, come scrive nel 1946, «nella mente dei rivoluzion­ari militanti o comunque di quelli che “ce la fanno”, l’aspirazion­e a una società giusta si [è] sempre fatalmente mescolata all’impulso di accentrare il potere nelle proprie mani?»[p. 188].

Sono alcuni dei temi che George Orwell mette al centro della sua riflession­e tra anni 30 e anni 40 del 900. Anni segnati dalla sconfitta della ragione, sconfitta che genera la convinzion­e che la politica sia una macchina «mangiauomi­ni». Ma che in Orwell impongono una volontà: respingere la tentazione di ritirarsi nel privato, sentire l’obbligo ad esserci e a rispondere. In breve «non mollare». Da non dimenticar­e.

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AFP Saggista George Orwell (1903 - 1950) è lo pseudonimo di Eric Arthur Blair

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