Affido condiviso o esclusivo? Così scelgono i giudici
Abusi, disinteresse, maltrattamenti e litigi giustificano l’«esclusivo» La regola del «condiviso» è derogabile per tutelare il benessere dei minori
Dodici anni dopo la legge 54/2006, che ha superato la «maternal preference», la formula dell’affido condiviso dei figli è diventata la regola. L’opzione dell’affido esclusivo viene, tuttavia, scelta dai giudici quando tutela maggiormente l’interesse dei minori, ad esempio a fronte di abusi, disinteresse, maltrattamenti e litigiosità.
A più di dodici anni dalla legge 54/2006, che ha superato la maternal preference in favore della bi-genitorialità intesa come esercizio congiunto della responsabilità e condivisione delle decisioni più rilevanti per la prole (scuola, salute, educazione, scelte alimentari), la formula condivisa è diventata la regola ma l’opzione dell’affido esclusivo viene comunque scelta dai giudici quando tutela maggiormente l’interesse dei minori.
È questo infatti l’obiettivo principale in base al quale l’articolo 337 ter del Codice civile introdotto nel 2006 , aveva sancito che il giudice dovesse valutare «prioritariamente la possibilità» che «restino affidati a entrambi i genitori». Il condiviso tutela infatti il diritto dei figli minori «a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori».
Tuttavia, se la tutela del minore ha suggerito di fissare come regola generale il condiviso, vi si dovrà però derogare nei casi in cui questo regime diventa pregiudizievole per il suo benessere (Cassazione, 17137/2017).
Vediamo quindi le situazioni che hanno giustificato l’affido esclusivo.
Il provvedimento
Trattandosi di un’eccezione rispetto al regime ordinario dell’affido condiviso, la scelta per l’esclusivo richiede che il provvedimento del giudice contenga un’ampia motivazione che riguardi da una parte l’inidoneità di uno dei genitore a crescere il figlio (Tribunale di Napoli, 3934/2017) e, dall’altra, l’idoneità dell’altro ad esercitare la potestà genitoriale.
Il provvedimento del giudice deve inoltre specificare il tempo da condividere con i figli. A marcarlo è stata la Cassazione che con la sentenza 1748/2018, ha bacchettato l’abitudine di inserire nei provvedimenti di affidamento indicazioni del tutto generiche sul tempo da passare con i figli. Questo rischia di amplificare la conflittualità familiare e di minare la serenità dei bambini poiché potrebbe portare a un abuso della facoltà di visita da parte del genitore non collocatario che potrebbe costringere l’altro a restare, di fatto, perennemente disponibile agli incontri.
Le ragioni
Le motivazioni alla base delle quali i giudici possono optare per l’esclusivo vanno dal disinteresse verso il minore all’eccessiva litigiosità fra gli ex partner. Il criterio di base resta sempre il benessere del minore.
Il Tribunale di Roma (sentenza del 17 marzo 2017) ha censurato l’lindifferenza verso il figlio manifestata da un padre che aveva omesso di contribuire al suo mantenimento, procurandogli un disagio esistenziale tale da logorare il legame, disponendo l’affido alla madre.
“Punito” con l’affido materno, anche il papà che – consapevole di mettere a disagio la figlia con le amiche – l’abbia indotta ad abbracciare un credo alternativo al cattolico conducendola ai riti dei Testimoni di Geova (Cassazione, 12954/2018). Condiviso negato, inoltre, al non collocatario residente all’estero che – non esercitando il diritto di visita – si sia mostrato incapace di assumersi le sue responsabilità (Tribunale di Aosta, 247/2017; Cassazione, 977/2017), al genitore che abusi o maltratti l’altro genitore in presenza della prole (violenza assistita), a chi non riesca a controllare l’aggressività (Tribunale di Roma, 15 luglio 2016), al manipolatore affettivo che denigri il non collocatario alienandolo dalla vita del figlio (Tribunale di Cosenza, 778/2015) o a chi, di converso, sia eccessivamente protettivo.
Si registra uno stop al condiviso anche per il borderline che, per disequilibrio psichico e polarizzazioni depressive, sia incapace di seguire attentamente il percorso della prole (Tribunale di Roma, 2 gennaio 2017) ma non per la madre affetta da deficit psichiatrico che sia, però, disposta ad accettare una frequentazione protetta (Tribunale di Velletri, 15 gennaio 2018).
Va inoltre valutato anche il punto di vista del minore, cui non si potrà imporre una modalità condivisa ove esterni difficoltà di relazionarsi con uno dei due genitori o avversione e rifiuto di incontrarlo.
Quanto alla conflittualità tra genitori, frequente in fase di separazione, essa osterà al regime condiviso solo se tale da alterare l’equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei ragazzi (Cassazione, 27/2017) ma non se la litigiosità tra ex si mantenga in un range compatibile con la soddisfazione delle esigenze di cura, educazione e crescita dei figli. Il super-esclusivo.
Ricorrono, invece, i presupposti per disporre l’affido super-esclusivo – con attribuzione a un solo genitore, non solo della responsabilità e del collocamento, ma anche del potere di assumere in via esclusiva tutte le decisioni di maggior importanza per la prole, afferenti l’educazione, l’istruzione, la salute e la scelta della residenza abituale – se il padre mostri un contegno ostativo all’avvio di progetti di aiuto familiare (Tribunale di Roma, 15 luglio 2018) o se per ostruzionismo provochi paralisi decisionali deleterie per il minore (Tribunale di Roma, 19886/2018).