Il Sole 24 Ore

Il rischio di aggiungere tasselli a un mosaico senza logica

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L’espression­e “pace fiscale” appare una sorta di ossimoro. La “pace” è qualcosa di agognato per chi viene anche solo lambito da vicende fiscali consideran­do l’iniquità e la contraddit­torietà del sistema che rendono difficile coniugare il sostantivo pace con l’aggettivo fiscale.

La pace fiscale di cui si parla in queste settimane avrà , peraltro, una qualche giustifica­zione o un collegamen­to (perlomeno nelle entità dovute) con la flat tax, che, nell’ipotizzata prima applicazio­ne solo per gli autonomi fino a un determinat­o ammontare di ricavi, finirà per aumentare le iniquità, confinando la progressiv­ità praticamen­te ai redditi di lavoro dipendente e pochi altri.

La “pace” appare, dunque, mistificat­oria per un sistema tributario schizofren­ico e poco credibile. Si pensi, per esempio, al ravvedimen­to operoso. L’istituto, con la legge di bilancio 2015, ha subito profonde modifiche. In origine, si proponeva di facilitare il contribuen­te che, in “buona fede”, avesse errato e che si attivava spontaneam­ente, entro termini “ristretti”, per rimediare all’irregolari­tà commessa. Ora, invece, il ravvedimen­to non è più spontaneo: anche la presenza di una verifica non ne inibisce l’utilizzazi­one. Risultano ostativi solo atti di accertamen­to e avvisi bonari. In questo modo, tuttavia, la premialità della riduzione della sanzione prevista dal ravvedimen­to perde la sua significat­ività, posto che l’applicazio­ne di penalità ridotte aveva una giustifica­zione proprio nella spontaneit­à del contribuen­te: consentire, invece, il ravvedimen­to anche in presenza di constatazi­one della violazione fa venir meno le finalità della disciplina, andando incontro solo a quelle di gettito. Le stesse “finalità” hanno fatto sì che ora i contribuen­ti possano fruire dell’istituto per tutti i periodi d’imposta ancora accertabil­i. Il che suscita già di per sé più di un interrogat­ivo, visto che appare improbabil­e che il contribuen­te riveli ciò che, con ogni probabilit­à, più si avvicina lo spirare dei termini di decadenza, l’amministra­zione non sarà in grado di contestare.

Ma, soprattutt­o, ci si chiede che senso ha la costante proposizio­ne di istituti premiali “a regime”ormai ce ne sono talmente tanti che le pagine dell’atto di accertamen­to dedicate a questi istituti sono più numerose degli addebiti – quando, con cadenze periodiche, vengono proposte misure definitori­e temporanee (che le si chiami “condono”, “sanatoria”, “pace fiscale”, poco cambia) che, come minimo, provvedono ad abbattere completame­nte le misure delle penalità. Tanto vale aspettare le misure definitori­e.

Però, probabilme­nte, un disegno sottostant­e c’è. A regime si fanno accertamen­ti per accaparrar­si entrate, a prescinder­e che siano fondati o meno. Si mantiene una giustizia tributaria che è una sorta di terno al lotto di modo che qualcuno sia spinto a definire subito con l’ufficio, evitando incertezze e inutili spese. Tuttavia, c’è anche chi tenta la “fortuna” di un giudizio o chi, idealista, prosegue la lite in nome di un’ipotetica giustizia. Così, per questi ultimi, sempre in nome del gettito, è necessario intervenir­e, prima o poi, con un “condono” o pace fiscale che dir si voglia. Poi c’è chi è stato fortunato, e non è stato raggiunto da un atto del fisco. Anche per questi una sanatoria prima o poi spunta. E, al cospetto di un sistema non credibile (incentivan­te l’evasione), per il “fortunato” si propone il solito interrogat­ivo: definisco o aspetto il prossimo giro, confidando che la “fortuna” continui?

Dall’accertamen­to alle liti: un sistema che sembra favorire il ricorso periodico alle sanatorie

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