SE IL PROCESSO TRIBUTARIO DIVENTA PUBBLICISTICO
Se pare ormai imprescindibile un “giudice tributario togato” – professionale, adeguatamente selezionato e dedito a tempo pieno al processo tributario – è forse il caso di riflettere sul modello processuale di riferimento suggerito da autorevoli studiosi (si veda l’articolo di Franco Gallo sul Sole 24 Ore del 23 giugno scorso). Nel processo tributario si controverte su un tema vitale per la persona e per la collettività: il concorso di ciascuno alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. C’è una forte pregnanza di interesse pubblico specifico, che si aggiunge al generale interesse pubblico alla giustizia.
Inoltre le parti, sotto ogni profilo, non sono sullo stesso livello, e ciò pone il tema del ruolo specifico del giudice, che deve essere anche quello di superare la disparità, con una azione di “riequilibrio acquisitivo”, volta a disvelare – anche con iniziativa d’ufficio – la capacità contributiva reale del caso singolo. Pensiamo ad esempio alle controversie su frodi Iva, che coinvolgono soggetti, spesso non residenti, nei confronti dei quali il contribuente non ha alcun potere di acquisizione di prove.
Alla luce di queste premesse – e considerando che l’oggetto della lite è, in linea generale, un provvedimento d’imperio – il modello processuale più adeguato non può essere civilistico (come i progetti di riforma continuano a proporre), bensì pubblicistico.
Significativo che, ad esempio, l’articolo 63 del Codice del processo amministrativo riconosce il potere del giudice di «chiedere alle parti o a terzi anche d’ufficio chiarimenti o documenti».
Il par. 76 del codice processuale tributario tedesco (Fgo) stabilisce poi che «il giudice ricerca d’ufficio la fattispecie. Le parti, sul punto, sono consultate e devono fornire chiarimenti sulle circostanze di fatto in modo completo e conforme a verità e devono chiarire – su richiesta del giudice – i fatti dedotti in giudizio dalle altre parti. Il giudice non è vincolato alle allegazioni ed alle offerte di prova delle parti». Ancora: per accertare la verità dei fatti è imprescindibile la prova testimoniale; sempre l’articolo 63 citato riconosce il potere del giudice di ammetterla in forma scritta.
Nel processo tributario tedesco sono poi ammesse sia le testimonianze scritte (par. 85, Fgo), sia quelle orali (par. 81 Fgo) e quelle assunte in altro luogo e trasmesse con audio e video in aula d’udienza (par. 91a Fgo). In tale prospettiva di ricostruzione dei fatti, sarebbe coerente anche una disciplina della remissione in termini per errore scusabile, simile a quella del processo amministrativo (articolo 37), sia quanto ai presupposti («oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto»), sia quanto all’iniziativa d’ufficio. Anche tale previsione è coerente con un modello processuale pubblicistico.
Sarebbe poi da chiedersi se siano necessari tre gradi di giudizio o se – con un giudice non meno professionale del giudice generale amministrativo – non siano adeguati e sufficienti due gradi come nel processo amministrativo, ove il Consiglio di Stato è giudice anche del merito e il ricorso alla Suprema corte è limitato a questioni di giurisdizione.
Doppio grado di giudizio si ha anche in Germania, ove la controversia di fronte alla Suprema corte federale è solo di legittimità. Non a caso la soluzione tedesca in tema di processo tributario corrisponde nella sostanza a quella italiana per il giudizio generale amministrativo.