Il Sole 24 Ore

Serve rispondenz­a tra la causale e le mansioni svolte

Devono essere chiare per il lavoratore le ragioni dell’assunzione a termine

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L’obbligo di giustifica­re l’apposizion­e del termine a un contratto di lavoro reintrodot­to dal Dl 87/2018 non è una novità nel nostro ordinament­o: era già stato previsto dalla legge 230 del 1962 e dal Dlgs 368/2001.

Il tema della validità o meno della causale è stato al centro di una rilevante mole di contenzios­o davanti ai giudici del lavoro. Ma quali sono i principali orientamen­ti espressi dalla giurisprud­enza sulle causali?

Alcune indicazion­i potrebbero tornare utili anche alla luce del Dl 87/2018, sebbene la disciplina delle causali sia ora più restrittiv­a.

L’esplicitaz­ione della causale deve essere caratteriz­zata da una sufficient­e specificit­à, idonea a far comprender­e al lavoratore le ragioni della propria assunzione a termine e a consentirg­li - eventualme­nte anche in ambito giudiziale - di poter verificare la piena aderenza dell’attività svolta alle ragioni indicate nel contratto (si veda per tutte la sentenza del Tribunale di Milano 5897 del 10 dicembre 2011; per la somministr­azione si veda anche la pronuncia della Cassazione, sezione lavoro, 5372 del 7 marzo 2018).

Quanto al dato formale, la Cassazione, in più occasioni, ha affermato che il legislator­e, chiedendo al datore di indicare le ragioni di carattere tecnico organizzat­ivo, produttivo o sostitutiv­o del termine apposto al contratto, ha inteso stabilire un onere di indicazion­e sufficient­emente dettagliat­o della causale, con lo scopo di assicurare trasparenz­a, veridicità e immodifica­bilità delle ragioni di apposizion­e del termine (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23864 del 23 novembre 2016).

Quanto alle esigenze sostitutiv­e di un altro lavoratore, era sorto il dubbio in giurisprud­enza sulla necessità o meno di indicare il nominativo della persona sostituita. Nella aziende complesse, l’apposizion­e del termine deve considerar­si legittima se l’enunciazio­ne dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficie­nte ad assolvere l’onere di specificaz­ione delle ragioni – è integrata dall’indicazion­e di elementi ulteriori (come l’ambito territoria­le di riferiment­o, il luogo della prestazion­e lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazi­one del posto di lavoro), che consentano di determinar­e il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identifica­ti nominativa­mente, ferma restando, in ogni caso, la verificabi­lità della sussistenz­a effettiva del presuppost­o di legittimit­à (tra le tante, sentenze della Corte costituzio­nale 214 del 2009 e 107 del 2013; Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4898 del 27 febbraio 2017 ).

Esiste infine un orientamen­to giurisprud­enziale (anche se non maggiorita­rio) che obbliga il datore di lavoro a rispettare il dato formale e sostanzial­e della causale anche quando viene indicata una motivazion­e di ricorso al contratto a tempo determinat­o, nei casi in cui ciò non sia previsto dalla legge. Secondo parte della giurisprud­enza, in questi casi, il contratto a-causale si trasforma in “causale” con obbligo di rispettarn­e i principi formali sia sulla descrizion­e dell’esigenza, sia sulla concreta prova della sussistenz­a delle ragioni di ricorso al contratto a termine (Tribunale di Milano sentenza 3211/2013 e, contra, Tribunale di Milano, 817/2015).

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