COPYRIGHT, UNA TUTELA CHE PREMIA, NON PUNISCE
Questi due articoli prevedono, rispettivamente, il primo, a favore degli editori di giornali, l’introduzione di un nuovo diritto mirante a facilitare la concessione di licenze online per le pubblicazioni e il secondo, invece, di un obbligo, nei confronti delle grandi piattaforme digitali, di intraprendere, in cooperazione con i detentori dei diritti, misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di contenuti che infrangano il diritto d’ autore o diritti correlati. In questo modo si sono persi di vista, in primo luogo, contesto e obiettivi fondamentali della riforma, e, in secondo luogo, altri elementi caratterizzanti quest’ultima.
La proposta di legge muove dall’idea che l’evoluzione delle tecnologie digitali ha fatto emergere nuovi modelli di business e ha rafforzato il ruolo di internet quale principale mercato per distribuzione e accesso ai contenuti protetti dal diritto d’autore. Nel nuovo contesto i titolari di diritti incontrano difficoltà nel momento in cui cercano di concedere una licenza ed essere remunerati per la diffusione online delle loro opere, il che potrebbe mettere a rischio lo sviluppo della creatività europea e la produzione di contenuti creativi. Non si può che concordare sia con tale preoccupazione, sia con l’obiettivo identificato: garantire che autori e titolari di diritti ricevano una quota equa del valore generato dall’utilizzo delle loro opere. Tale obiettivo nella direttiva è perseguito non solo e non tanto con le disposizioni prima richiamate, ma anche con una vasta gamma di misure la cui rilevanza è stata molto sottovalutata. Si pensi, per esempio, alle misure volte a migliorare la trasparenza e a instaurare rapporti contrattuali più equilibrati tra autori e artisti (interpreti o esecutori) e coloro cui essi cedono i loro diritti. L’idea di base è quella non solo, come si vorrebbe far credere, di dichiarare una guerra senza esclusione di colpi alla violazione del diritto d’autore ma anche di migliorare il meccanismo dell’offerta legale di contenuti digitali. E non si può certo dire che tali sforzi, che devono essere ulteriormente amplificati, non abbiano portato a un mercato relativo all’offerta musicale e audiovisiva assai vivace. D’altronde, non si capisce perché se questo sistema ha funzionato su tali settori industriali sia destinato a fallire per l’editoria giornalistica. È in gioco, in questo caso, con lo spettro delle fake news, la qualità e la veridicità dell’informazione.
Il secondo crampo mentale è legato all’invocazione di un attentato alla libertà di espressione tutte le volte in cui si pone la questione dell’attivazione di un possibile filtro messo in atto dalle piattaforme digitali per evitare la violazione sistematica del diritto d’autore. In questi casi il bilanciamento, come la Corte di giustizia nella sentenza Scarlet del 2011 ha fatto notare, è sì tra due diritti previsti dalla Carta dei diritti della Ue. Ma si tratta di due libertà economiche, proprietà intellettuale e libertà di iniziativa economica. La libertà d’espressione ricopre un ruolo marginale in questo contesto. Discutiamo quale sia il bilanciamento che rispetti al meglio il principio di proporzionalità, ma non si radicalizzi il conflitto con una retorica sterile dei diritti fondamentali che tiri in campo, a sproposito, l’annullamento o la limitazione della libertà di espressione. Sono altri gli scenari in cui tale rischio è effettivo. Regolazione non sempre equivale a restrizione non proprozionale. E, infine, ci si ricordi che anche la libertà di espressione nel costituzionalismo europeo ammette limitazioni e temperamenti, il Primo emendamento della Costituzione americana e la protezione sacrale del free speech non gode (ancora) di un’applicazione planetaria.