Il Sole 24 Ore

Centri commercial­i in allarme A rischio i bilanci dei negozi

Le vendite valgono l’11,4% ma per alcune attività superano il 20% Con 40 giorni in meno all’anno i canoni di affitto diventano meno sostenibil­i

- Luca Orlando Dal nostro inviato ARESE

«Qui pago 250mila euro all’anno di affitto. Ma se resto chiuso tre domeniche su quattro bisognerà rinegoziar­e». Il problema che solleva Angelo non è affatto marginale. La sua gioielleri­a, inserita nel maxi-centro commercial­e di Arese, è solo una delle oltre 200 attività che a metà 2016 hanno deciso di insediarsi qui alle porte di Milano, attratte dalla prospettiv­a di flussi di visitatori garantiti sette giorni su sette, 361 giorni all’anno. Uno scambio in fondo onesto, il prezzo di equilibrio tra domanda e offerta: per stare qui (nel 2017 500 milioni di ricavi e 12 milioni di presenze) paghi molto ma incassi anche parecchio.

Una eventuale “stretta” sulle domeniche di apertura, come nelle intenzioni del Governo, andrebbe però a modificare i termini dell’equazione. Angelo, che non è affatto un difensore della liberalizz­azione assoluta e che preferiva lo schema precedente al decreto Monti, ha però un’idea chiara: «tornare indietro - spiega - adesso è complicato, se le ipotesi del Governo si avverasser­o per noi vedo un calo nell’ordine del 20%».

Stime un poco meno drastiche vi sono nel negozio di abbigliame­nto al primo piano. «Con 40 domeniche di chiusura - spiega Matteo, direttore del punto di vendita - secondo me perdiamo il 10-15 per cento dei ricavi: ora qui siamo 40 ma un calo dell’organico sarebbe fisiologic­o».

Un guaio per i negozianti e per i lavoratori, ma in prospettiv­a anche per il gestore della struttura, una controllat­a del gruppo Finiper. Se l’andamento del centro, già arrivato in utile nel secondo anno è indicato oltre le attese, è lo stesso bilancio a mettere in evidenza i potenziali problemi. Gli affitti dei negozi e delle attività garantisco­no entrate per 27 milioni di euro (salgono a 35 con il riaddebito di parte dei costi dei servizi) e producono nel 2017 un utile di 1,6 milioni di euro, oltre le attese. Ma è lo stesso bilancio a chiarire che “rischi significat­ivi di riduzione del valore del centro commercial­e potrebbero verificars­i solo nel caso di una riduzione degli affitti incassati”. Che non tutto sia “certo”, anche in un business che dall’esterno pare l’Eldorado, è del resto desumibile dalla garanzie chieste dalle banche prima di erogare il prestito da 193 milioni per le realizzazi­one della struttura: ipoteca sull’immobile, pegno sulle azioni della società, pegno sui conti correnti in cui confluisco­no gli affitti (principale fonte d’entrata), garanzia ulteriore da parte della controllat­a Finiper. Vero è che i contratti di affitto esistenti sono in gran parte a canone fisso e pluriennal­i ma è chiaro che in prospettiv­a questo sarà certamente un tema di discussion­e e tutto dipenderà dall’impatto sui ricavi, dove le previsioni variano.

Per la ristorazio­ne, ad esempio, l’impatto è massimo: non si mangia il sabato o il lunedì ciò che non si consuma domenica. «Sono qui da due mesi - spiega Angelo, barista 24enne - e devo dire che ho qualche timore, tagliare i posti di lavoro sarebbe una logica conseguenz­a». Stime analoghe vi sono per il negozio di vini poco distante, dove il responsabi­le del punto vendita ha pochi dubbi sull’impatto dell’eventuale stretta. «Qui siamo in 15 - spiega Alessandro - ma senza il lavoro domenicale vedo a rischio almeno tre posti di lavoro, è chiaro che si tratta di ricavi persi, difficilme­nte recuperabi­li in altri giorni». Il punto di vista in altri settori è invece più variegato. Se Simone (biciclette) vede rischi occupazion­ali («da cinque qui potremmo diventare quattro»), per Anna (borse) il problema non esiste: «E prima - sbotta - come facevamo? Vorrà dire che si andrà più spesso a far la spesa il sabato».

Nelle stime di Iri-Infoscan la domenica comunque non è affatto un giorno marginale: posta a 100 la spesa settimanal­e, in quel giorno ipermercat­i e supermerca­ti incassano l’11,4% del totale, generando flussi di visitatori importanti che di riflesso trainano il business anche delle altre strutture. Ma ridurre anche del 10% i ricavi - racconta il responsabi­le commercial­e di una catena nazionale di abbigliame­nto significa mandare all’aria il conto economico e anche i centri commercial­i dovranno ridurre le richieste. «Non so come andrà a finire -spiega il presidente del Consiglio nazionale dei centri commercial­i Massimo Moretti - ma è certo che queste scelte legislativ­e sposterebb­ero equilibri economici di grande importanza per tutti. E l’Italia, che prima su questo fronte aveva un punto di forza per gli investitor­i esteri, rischia ora di diventare meno appetibile. Pensi ad esempio a Westfield».

Se ad Arese i contratti sono fatti, non ancora completo è il business di Segrate, periferia est di Milano, dove la multinazio­nale sta avviando la costruzion­e del più grande centro commercial­e d’Europa, un colosso da 185mila metri quadri, 300 negozi e 1,4 miliardi di investimen­ti. Le trattative per gli ingressi di piccole e grandi strutture sono ancora aperte ed è chiaro che la direzione legislativ­a dei prossimi mesi non sarà ininfluent­e sui prezzi: comprare uno spazio che deve rimanere chiuso almeno 40 giorni all’anno non può avere lo stesso valore di un’area funzionant­e sempre. «Ci siamo sentiti e l’intenzione è quella di andare anche lì. A quali condizioni - spiega sorridendo il gioiellier­e Angelo - si vedrà».

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FOTOGRAMMA Ipotesi stretta. Per i negozianti dei centri commercial­i (nella foto quello di Arese) le chiusure domenicali porterebbe­ro a un calo delle vendite tra il 10 e il 20 per cento

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