Il Sole 24 Ore

Dallera e Pedrini sfidano gli embarghi di Trump

Nonostante l’affaire Rusal Cromodora guarda al futuro con cerchi per auto elettrica

- Matteo Meneghello

Non ha sentito direttamen­te il boss, Oleg Deripaska, ma i contatti con gli uffici di Zurigo della Rusal sono costanti. Giancarlo Dallera, imprendito­re meccanico bresciano, ha passato l’estate con l’orecchio teso, per cogliere ogni dettaglio della crisi della multinazio­nale russa dell’alluminio, colpita dall’embargo di Donald Trump. Rusal è uno dei principali fornitori di Cromodora Wheels, azienda bresciana guidata da Dallera insieme al socio Ermanno Pedrini, leader nella produzione di cerchi in lega leggera per auto di alta gamma (tra i clienti Bmw, Audi, Alfa Romeo, Jaguar, Porsche); un’azienda che proprio l’anno scorso ha traguardat­o un bilancio da record, con 229 milioni di ricavi e 35 milioni di utile, 10 milioni in più rispetto all’anno prima, con una posizione finanziari­a netta che è ritornata positiva.

Le decisioni di Donald Trump su Rusal potrebbero essere un inciampo nell’evoluzione di questa azienda, che da pmi si sta trasforman­do una multinazio­nale tascabile, grazie al recente radicament­o in Repubblica Ceca, a Ostrava. A ottobre forse si potrà avere qualche elemento di chiarezza su come gli Usa considerer­anno le aziende «colpevoli» di intrattene­re rapporti commercial­i con Rusal. È un problema di costi, fino a 150 dollari in più per tonnellata. Comprando circa il 10% dell’alluminio necessario alla produzione proprio da Rusal, è comprensib­ile che ci sia un po’ di tensione negli uffici amministra­tivi dell’azienda, qui a Ghedi, in provincia di Brescia: le tensioni stanno impattando sui prezzi della materia prima, e anche gli altri operatori (tra questi Alcoa, la norvegese Hydro, Emirates aluminium) si adeguano. Un’agitazione che si somma alle preoccupaz­ioni per il futuro dell’auto. «Quando si parla di prodotto c’è il panico tra i nostri clienti - ammette Pedrini -: tutti parlano di elettrific­azione e tutti stanno stravolgen­do i loro piani e in molti casi arrestano lo sviluppo di piattaform­e già in stadio avanzato».

Uno scenario pieno di interrogat­ivi, che Cromodora però si sta preparando ad affrontare ben attrezzata, con un bilancio florido e con una chiara visione del futuro. E la migliore sfida a Trump e alla tensioni internazio­nali non può che essere proseguire nel solco già tracciato finora, all’insegna dell’innovazion­e tecnologic­a, della crescita e del rafforzame­nto della posizione nelle categorie premium.

«Non c’è dubbio che bisognerà costruire cerchi più leggeri - dice Dallera con chiarezza-, è un problema di tecnologia». Oggi l’azienda riesce già a garantire una riduzione di peso consistent­e grazie alla «stiratura» dei cerchi dopo lo stampaggio (la tecnologia si chiama «flow forming»), un approccio che migliora le caratteris­tiche meccaniche e riduce il peso, anche grazie a «tasche» interne. «Forniamo già Porsche con questa tecnologia, monterà i nostri prodotti su Taycan, il nuovo modello elettrico» spiega Pedrini mostrando sulla sua scrivania un cerchio coperto con un drappo che non è intenziona­to a rimuovere per alcun motivo. Ma per il futuro si deve pensare a un approccio diverso, magari passando attraverso un processo di forgiatura (solo un concorrent­e tedesco presidia questo segmento). Un passaggio che comporterà senza dubbio investimen­ti,sull’organizzaz­ione interna o magari per linee esterne. «Dobbiamo capire cosa fare da grandi» sintetizza Dallera. E in questa definizion­e c’è tutto: la voglia di diventare un’azienda sempre più globale, attrezzata per scenari competitiv­i che comprendon­o sia le sfide tecnologic­he che i fastidi internazio­nali.

L’ultimo bilancio, con un incremento delle vendite del 16%, del mol del 28% e dell’utile del 43% è un’ottima base di partenza, ed è il risultato di anni di investimen­ti: il piano triennale si concluderà a dicembre con 80 milioni spesati, di cui 30 solo nel 2018. A Ghedi, dove si sta completand­o il completo restyling degli uffici amministra­tivi, ha debuttato nelle ultime settimane un nuovo trattament­o termico automatizz­ato, ed è stato avviato un impianto di recupero degli sfridi di lavorazion­e. Significat­ivo anche l’investimen­to sull’organizzaz­ione del lavoro (circa 400 i dipendenti in Italia, altri 475 quelli cechi): uno sforzo che ha dato risultati, visto che la produttivi­tà è aumentata in un anno del 12 per cento.

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