Dallera e Pedrini sfidano gli embarghi di Trump
Nonostante l’affaire Rusal Cromodora guarda al futuro con cerchi per auto elettrica
Non ha sentito direttamente il boss, Oleg Deripaska, ma i contatti con gli uffici di Zurigo della Rusal sono costanti. Giancarlo Dallera, imprenditore meccanico bresciano, ha passato l’estate con l’orecchio teso, per cogliere ogni dettaglio della crisi della multinazionale russa dell’alluminio, colpita dall’embargo di Donald Trump. Rusal è uno dei principali fornitori di Cromodora Wheels, azienda bresciana guidata da Dallera insieme al socio Ermanno Pedrini, leader nella produzione di cerchi in lega leggera per auto di alta gamma (tra i clienti Bmw, Audi, Alfa Romeo, Jaguar, Porsche); un’azienda che proprio l’anno scorso ha traguardato un bilancio da record, con 229 milioni di ricavi e 35 milioni di utile, 10 milioni in più rispetto all’anno prima, con una posizione finanziaria netta che è ritornata positiva.
Le decisioni di Donald Trump su Rusal potrebbero essere un inciampo nell’evoluzione di questa azienda, che da pmi si sta trasformando una multinazionale tascabile, grazie al recente radicamento in Repubblica Ceca, a Ostrava. A ottobre forse si potrà avere qualche elemento di chiarezza su come gli Usa considereranno le aziende «colpevoli» di intrattenere rapporti commerciali con Rusal. È un problema di costi, fino a 150 dollari in più per tonnellata. Comprando circa il 10% dell’alluminio necessario alla produzione proprio da Rusal, è comprensibile che ci sia un po’ di tensione negli uffici amministrativi dell’azienda, qui a Ghedi, in provincia di Brescia: le tensioni stanno impattando sui prezzi della materia prima, e anche gli altri operatori (tra questi Alcoa, la norvegese Hydro, Emirates aluminium) si adeguano. Un’agitazione che si somma alle preoccupazioni per il futuro dell’auto. «Quando si parla di prodotto c’è il panico tra i nostri clienti - ammette Pedrini -: tutti parlano di elettrificazione e tutti stanno stravolgendo i loro piani e in molti casi arrestano lo sviluppo di piattaforme già in stadio avanzato».
Uno scenario pieno di interrogativi, che Cromodora però si sta preparando ad affrontare ben attrezzata, con un bilancio florido e con una chiara visione del futuro. E la migliore sfida a Trump e alla tensioni internazionali non può che essere proseguire nel solco già tracciato finora, all’insegna dell’innovazione tecnologica, della crescita e del rafforzamento della posizione nelle categorie premium.
«Non c’è dubbio che bisognerà costruire cerchi più leggeri - dice Dallera con chiarezza-, è un problema di tecnologia». Oggi l’azienda riesce già a garantire una riduzione di peso consistente grazie alla «stiratura» dei cerchi dopo lo stampaggio (la tecnologia si chiama «flow forming»), un approccio che migliora le caratteristiche meccaniche e riduce il peso, anche grazie a «tasche» interne. «Forniamo già Porsche con questa tecnologia, monterà i nostri prodotti su Taycan, il nuovo modello elettrico» spiega Pedrini mostrando sulla sua scrivania un cerchio coperto con un drappo che non è intenzionato a rimuovere per alcun motivo. Ma per il futuro si deve pensare a un approccio diverso, magari passando attraverso un processo di forgiatura (solo un concorrente tedesco presidia questo segmento). Un passaggio che comporterà senza dubbio investimenti,sull’organizzazione interna o magari per linee esterne. «Dobbiamo capire cosa fare da grandi» sintetizza Dallera. E in questa definizione c’è tutto: la voglia di diventare un’azienda sempre più globale, attrezzata per scenari competitivi che comprendono sia le sfide tecnologiche che i fastidi internazionali.
L’ultimo bilancio, con un incremento delle vendite del 16%, del mol del 28% e dell’utile del 43% è un’ottima base di partenza, ed è il risultato di anni di investimenti: il piano triennale si concluderà a dicembre con 80 milioni spesati, di cui 30 solo nel 2018. A Ghedi, dove si sta completando il completo restyling degli uffici amministrativi, ha debuttato nelle ultime settimane un nuovo trattamento termico automatizzato, ed è stato avviato un impianto di recupero degli sfridi di lavorazione. Significativo anche l’investimento sull’organizzazione del lavoro (circa 400 i dipendenti in Italia, altri 475 quelli cechi): uno sforzo che ha dato risultati, visto che la produttività è aumentata in un anno del 12 per cento.