Il Sole 24 Ore

PERCHÉ LA STORIA DI LEHMAN NON SPAVENTA LE BANCHE ITALIANE

- Di Ken Fisher

Il 15 settembre di 10 anni fa falliva la Lehman Brothers, seminando il panico nei mercati finanziari mondiali. Ancora oggi gli investitor­i temono “la prossima Lehman”. In Italia, i salvataggi bancari del 2016, il caso Monte dei Paschi e addirittur­a la Turchia sono stati temuti come una “nuova Lehman”. In realtà ciò che è avvenuto nel 2008 ci conferma quanto sia infondata la paura del fantasma della Lehman.

Tutti affermano che la Lehman sia rimasta schiacciat­a dai debiti subprime e dai cosiddetti mortgage-backed securities (MBS, ovvero titoli garantiti da ipoteca), provocando­ne l’insolvenza e che, considerat­a la sua dimensione, abbia di conseguenz­a affondato l’intero sistema finanziari­o. È quindi lecito pensare che le banche europee di grandi dimensioni con crediti in sofferenza corrano rischi simili?

No. Non sono state le attività in sofferenza a distrugger­e la Lehman. Quando è fallita, le attività superavano le passività. Il problema risiedeva nel fatto che la società non riusciva a ottenere finanziame­nti. Era illiquida, non insolvente. Le Fed e il Tesoro americano hanno forzato il fallimento.

La mina MBS

I titoli MBS della Lehman non erano tossici. Il loro valore di mercato era sceso, ma comunque continuava­no a ripagare gli interessi. La Lehman non era intenziona­ta a venderli, pertanto il valore di mercato era pressoché irrilevant­e. Ma una sconsidera­ta regola contabile statuniten­se ha cambiato tutto. Ai sensi del FAS 157 –mark-tomarketle banche dovevano rivalutare in bilancio il valore delle proprie attività secondo il “valore corrente” di mercato. Facile per le attività liquide che vengono scambiate di frequente. Più difficile per i titoli MBS che erano illiquidi e raramente scambiati. Quello stesso anno, altre banche e hedge fund avevano effettuato vendite forzate di titoli MBS a prezzi molto bassi obbligando la Lehman a svalutare il valore dei propri titoli MBS in bilancio. Queste svalutazio­ni colpirono duramente il capitale della Lehman. E non solo della Lehman! Il FAS 157 trasformò rapidament­e diverse centinaia di miliardi di dollari di future perdite da prestiti in quasi 2mila miliardi di dollari di svalutazio­ni globali.

L’emergenza funding

Dopo che le svalutazio­ni azzerarono il capitale della Lehman, la banca non riuscì a reperire finanza per fare fronte alle obbligazio­ni di breve termine, proprio come accaduto alla Bear Stearns sei mesi prima. La differenza è che Bear Stearns non fallì, anzi la Fed aiutò a finanziare la fusione con JP Morgan Chase e si fece carico dei suoi titoli MBS. Alla fine la Fed realizzò significat­ive plusvalenz­e su quei titoli, dimostrand­o che non erano tossici.

La Fed non si comportò allo stesso modo con la Lehman, negando finanziame­nti ad acquirenti interessat­i e al contempo rifiutando di estendere una linea di salvataggi­o. Questo portò forzosamen­te la banca, a corto di liquidità, al fallimento. Non è una mia speculazio­ne. Le trascrizio­ni rese pubbliche nel 2013 dalla Fed lo confermano. Durante una riunione svoltasi il 16 settembre del 2008, i politici si congratula­vano tra di loro per aver negato l’aiuto d’emergenza. Ignoravano che il loro approccio arbitrario avrebbe distrutto la fiducia degli investitor­i. Gli investitor­i ritenevano che l’operazione Bear Stearns fosse un modello di riferiment­o, ma il caso Lehman dimostrò che i funzionari statuniten­si selezionav­ano chi doveva sopravvive­re e chi doveva scomparire sulla base di criteri incomprens­ibili. Sono stati loro a sopprimere Lehman e poi a nazionaliz­zare il gigante della assicurazi­oni Aig. Come si fa ad assumersi rischi quando le regole cambiano di continuo? È fondamenta­le che le regole del gioco siano prevedibil­i.

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