LA «DISTRUZIONE CREATRICE» DELLE RENDITE
Papa Francesco non è un economista, né son ostati economisti i Papi che lo hanno preceduto. Dobbiamo ricordarcelo quando leggiamo un’intervista a un Papa che entra, perché non può non farlo, dentro tematiche finanziarie ed economiche. Gli economisti, o i tecnici del- l’ economia, non son operò isoli legitti- mati a parla redi faccende economiche. L’ economia è un brano molto importante di vita, e perciò chiunque abbia interessi o responsabilità perla via individuale e sociale può e deve dire la sua sull’ economia, sulla finanza, e sul lavoro. Incluso Francesco, che fa benissimo a occuparsi di economia, essendo a capo di una Chiesa erede di Gesù che nei vangeliparla moltissimo di economia( monete, ricchezze e povertà, mercanti, operai, padroni, debiti, crediti, talenti, amministratori onesti e disonesti...), e che è fondata sulla Bibbia che è pure un libro del lavoro e dell’ economia. Ne parla quindi co mene ha parlato Gesù e la Chiesa, mettendo alcentrol apre occupazioni perle sorti dei poveri, la giustizia,la vita concreta della gente. E, anche lui, usa allegorie, metafore, parabole.
Non parla solo di etica economica, parla anche di economia, ma in modo diverso da come ne parliamo noi economisti. Nell’intervista al Sole c’è un aspetto che va chiarito, per evitare di travisare uno dei messaggi di quel dialogo e di molti precedenti documenti del Papa. Francesco menziona molte volte il profitto, e in genere usa questa espressione con un’accezione negativa, come una parola-sintesi dell’ atteggiamento eticamente sbagliato del nostro capitalismo. Ma ciò che il Papa ha in mente quando parla male dei profitti, in realtà sono le rendite. Non capiamo il messaggio di Francesco all’economia se interpretiamo la sua critica al profitto come una condanna morale dell’impresa e dell’ imprenditore che in genere sono associati a quella porzione di reddito che gli economisti chiamano profitti.
La sua radicale critica che rivolge alla finanza speculativa, ai «soldi fatti con i soldi », la sua insistenza sull’ importanza della centralità del lavoro, esprimono invece un acritica all’ economia fondata sulla rendita. In questo non si discosta dagli ormai molti economisti( da PikettyaSachs) ched enunciano nel capitalismo de lXXI secolo una nuova centralità delle rendite a scapito dei profitti. I Paesi crescono quando i profitti prevalgono sulle rendite, perché il profitto è un flussodi reddito che arriva domani se investo, innovo e lavoro oggi; la rendita, invece, è reddito che percepisco oggi per quanto fatto ieri (da me o da altri). Nei profitti investo le energie per creare futuro migliore, nelle rendite per proteggere il passato. Prima diKarl Marx che pose il centro del conflitto sociale nella dialettica tra profitti e salari, l’inglese David Ricardo aveva individuato nella crescita inesorabile della rendita la vera malattia del capitalismo, che col passare del tempo avrebbe schiacciatosi ai profitti degli imprenditori che i salari degli operai. Anche la tradizione italiana di economia e finanza, già a partire
IMPORTANTE SUPERARE MOLTE FORME DI REDDITO PER DAR FIATO AD AZIENDE E IMPRENDITORI
dall’ Ottocento ha attribuito una grande importanza alla sindrome parassitaria, definendola co mela principale patologi adi ogni economia e società. Achille Lo ria, grande economista italiano oggi ingiustamente dimenticato, così scriveva nel 1910: «La vera scissione basica delle due classi della ricchezza, che nella storia della civiltà traccia il solco indelebile di tutte le vicende umane, è quella esistente fra la classe dei proprietari terrierie la classe dei capitalisti aventi interessi antitetici ed opposti, e quindi in perenne conflitto».
Il denaro diventa “idolo”, come sottolinea il Papa, principalmente e forse esclusivamente nell’ economia parassitaria della rendita, perché non è messo in gioco per creare ricchezza nuove opportunità,ma è adorato e, come tutti gli idoli, si diventa suoi schiavi. La condanna, che troviamo in tuttala Bibbia all’ interesse sul denaro e all’ usura, è nella sua sostanza un acritica alla rendita. Perché, in particolare in economie semi-statiche come quelle antiche, il possesso di denaro accumulato conferisce al suo possessore un potere di ottenere nuovi flussi senza investimento e lavoro.
La rendita non ha bisogno di «passione e progetti, fatica e genialità», le belle parole usate da Francesco. Certamente esistono anche profitti pessimi, lo sappiamo, e non ogni valore aggiunto creato dall’impresa è eticamente buono. Ma nell’umanesimo di Francesco non è l’ imprenditore il nemico del bene comune, ma chi - soprattutto grandi istituzioni finanziarie-percepisce flussi di reddito, spesso enormi, senza cono- s cere nulla della vita delle aziende delle quali detengono azioni e obbligazioni, e che non hanno mai visto un lavoratore né un midd le-manager involto. I grandi guadagni assumono la forma delle rendite, molto raramente dei profitti. Anche se, dobbiamo aggiungere, un tratto del nostro tempo è la compenetrazione tra profitti e rendite.
Le aziende sono sempre più possedute o controllate da grandi banche, fondi, private equity,en on è facile, teoricamente e praticamente, distinguere cosa in un bilancio sia frutto dell’innovazione e del lavoro di oggi e cosa della protezione delle ricchezze di ieri. Ma quandone i Cd a delle imprese si siedonotroppi rappresentanti dei percettori di rendite, si perde progressivamente contatto con l’attività e con la vita concrete delle aziende, si perdono di vista i lavoratori, per non parlare del bene comune. Quindi, paradossalmente,interpretandolo spirito delle parole del Papa dovremmo direch el’ economia ha bisogno di più profitti, e dimeno rendite, incluse quella forma di rendita che sono i super stipendi del top management. E certamente ha bisogno di più salari, perché la redistribuzione del reddito è troppo a svantaggio del lavoro.
Ritorneremo a crescere, nell’ ambito economico e in quello civile e morale, se saremo capaci di dar vita a una distruzione creatrice delle molte forme di rendita che si sono moltiplicate negli ultimi decenni. E quindi liberare e dare fiato a imprenditori, imprese, lavoro.