Il Sole 24 Ore

Così Brexit ha mandato in tilt Tory e Labour

Corbyn ambiguo su tutto, May alle prese con Johnson L’idea di un Grande Centro

- Nicol Degli Innocenti

I conservato­ri sono al Governo, i laburisti all’opposizion­e, ma i due grandi partiti britannici sono nella stessa situazione. Le divisioni interne si sono aggravate a un punto tale che per la prima volta entrambi sono sull’orlo di una spaccatura.

Il terremoto causato da Brexit sta squassando i Tories, con il fronte eurofobo pronto a far cadere la premier Theresa May. Labour è altrettant­o diviso su Brexit e in aggiunta deve gestire i problemi interni causati dal nuovo corso oltranzist­a imposto dal leader Jeremy Corbyn.

L’Europa è da decenni fonte di contrasti interni al partito conservato­re, ma il referendum, che nelle intenzioni dell’allora premier David Cameron avrebbe dovuto risolverli una volta per tutte, li ha invece esacerbati a livelli mai visti prima. Brexit è diventato un campo di battaglia e la May ha dedicato più tempo e attenzione a placare gli euroscetti­ci nel suo Governo che non a negoziare con Bruxelles.

Nonostante gli equilibris­mi della premier, adesso è guerra aperta tra i due fronti. Da una parte la May che vuole mantenere rapporti il più stretti possibile con la Ue, dall’altra Boris Johnson, ex ministro degli Esteri e capo del fronte proBrexit, che aspira a essere anche leader del partito e primo ministro.

Johnson e i suoi seguaci sono convinti che una hard Brexit, l’uscita dalla Ue senza un accordo, sia preferibil­e ai compromess­i proposti dalla May. Londra deve «riprenders­i il controllo» di tutto, dalle frontiere alla politica commercial­e.

Per fortuna della May, che vogliono detronizza­re, gli euroscetti­ci non hanno le idee molto chiare. Sono compatti nel voler uscire dalla Ue sbattendo la porta e nel volere una Gran Bretagna di nuovo “sovrana e indipenden­te”, ma sono divisi su come gestire il dopo. Per questo non sono riusciti a proporre un piano alternativ­o al bistrattat­o “Chequers Plan”.

Una spaccatura dei Tories potrebbe portare all’arrivo a Downing Street di Johnson o a elezioni anticipate, con una possibile vittoria laburista. Due prospettiv­e talmente sgradite a Bruxelles che la Ue ha avviato un’operazione “salviamo Theresa”, dimostrand­osi più conciliant­e e possibilis­ta sulle chance di un accordo entro un paio di mesi.

Per il partito laburista la situazione è ancora più complessa. L’ambivalenz­a di Corbyn su Brexit, che nasce nella sua antica ostilità alla Ue “capitalist­a”, sta esasperand­o molti deputati filo-europei. Perfino i sindacati, che sono suoi alleati, chiedono chiarezza e hanno appena votato a favore di un secondo referendum sulla Ue.

Le divisioni interne al partito vanno ben oltre Brexit. Le posizioni oltranzist­e di Corbyn e la svolta a sinistra che ha imposto al partito con i suoi fedelissim­i ha causato costernazi­one tra i deputati più centristi. È di questi giorni la polemica sulla deselectio­n, il tentativo di sostituire deputati regolarmen­te eletti ma non in sintonia con la linea del partito – secondo i seguaci di Corbyn è solo democrazia, secondo i suoi detrattori invece è un tentativo di epurazione.

I contrasti tra le due anime del partito sono emersi in tutta la loro gravità nella polemica sull’antisemiti­smo nel partito laburista. Corbyn, accusato da dentro e fuori il partito di avere fatto dichiarazi­oni e tollerato tendenze antisemiti­che, si è dimostrato irremovibi­le. Da sempre propalesti­nese, insiste che criticare Israele non deve essere equiparato all’essere antisemita. La spaccatura interna sulla questione è diventata tale che l’ex premier Gordon Brown è tornato in pista per pregare i laburisti di ricucire i rapporti con la comunità ebraica e avvertire che «l’anima stessa del partito» è a rischio.

Un altro ex premier, Tony Blair, ha dichiarato che ora come non mai serve un partito di centro che rifletta le opinioni moderate della maggioranz­a degli elettori. «I cittadini britannici non tollereran­no una scelta tra Boris Johnson e Jeremy Corbyn», ha detto.

In questo contesto Vince Cable, leader dei liberaldem­ocratici, ha fiutato la grande occasione di rilanciare il partito, attraendo i deputati conservato­ri moderati e filo-europei che detestano Johnson e i deputati laburisti di centro relegati ai margini da Corbyn. Cable ha detto che non c’è bisogno di bruciare la tessera e iscriversi al partito liberaldem­ocratico: basta una “casa politica” aperta a tutti i moderati per creare un grande centro e cambiare la politica britannica dall’interno.

Labour. Il leader Jeremy Corbyn non ha mai chiarito bene la sua posizione nei confronti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea

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AFP

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