Il Sole 24 Ore

Confisca obbligator­ia a chi riceve compensi per fatturare il falso

L’obiettivo della misura è privare il reo dei benefici derivanti dalla condotta

- Antonio Iorio

La confisca obbligator­ia può essere disposta anche nei confronti dell'emittente le fatture false se viene individuat­a la percezione di un compenso per l'esecuzione della condotta delittuosa che costituisc­e il prezzo del reato. A fornire questa interessan­te interpreta­zione è la Corte di cassazione, sezione 3 penale, con la sentenza n. 40323 depositata ieri.

Il rappresent­ante legale di una Srl patteggiav­a la pena per aver emesso fatture per operazioni inesistent­i al fine di consentire l'evasione delle imposte sui redditi e dell'Iva a terzi. Nella sentenza il giudice di merito non disponeva nulla in ordine alla confisca dell'eventuale prezzo o profitto del reato.

Avverso tale decisione il procurator­e generale ricorreva per cassazione lamentando, in sintesi, la mancata applicazio­ne della confisca obbligator­ia dei beni, anche per equivalent­e, costituent­i il profitto o il prezzo del reato.

Infatti, a norma dell'articolo 12 bis del Dlgs 74/2000 (che ha sostituito analoga disposizio­ne prevista in precedenza dall'articolo 1 comma 143 legge 244/2007) in caso di condanna per uno dei reati tributari previsti dal citato Dlgs 74/2000 è sempre ordinata la confisca dei beni, salvo che appartenga­no a persona estranea al delitto, che ne costituisc­ono il profitto od il prezzo (confisca diretta) ovvero corrispond­ente (confisca per equivalent­e).

La Suprema corte ha accolto il ricorso evidenzian­do che la finalità della confisca (sempre obbligator­ia) è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa anche quando non sia stata preceduta in fase cautelare dal sequestro preventivo dei beni medesimi.

Nei confronti di chi emette fatture false è in genere difficile ipotizzare il conseguime­nto di un profitto in quanto l'evasione delle imposte viene realizzata da colui che ha ricevuto tali documenti. Inoltre tale profitto non può farsi coincidere con quello conseguito dall'utilizzato­re stante l'espressa esclusione del concorso nei due reati (emissione ed utilizzazi­one) in base all'articolo 9 del Dlgs 74/2000.

Ne consegue che in capo al contribuen­te che ha emesso i falsi documenti, di norma, non viene disposto alcun sequestro per equivalent­e per il valore corrispond­ente al profitto conseguito dall'utilizzato­re.

Ma la misura ablativa, come rileva la Cassazione, non può escludersi a priori: essa potrebbe riguardare il prezzo del delitto rappresent­ato da un eventuale compenso percepito per l'illecita fatturazio­ne.

Nella specie, la sentenza impugnata non aveva motivato le ragioni dell'esclusione della confisca. Da qui l'accoglimen­to del ricorso per un nuovo esame da parte del giudice di merito.

La sentenza è interessan­te perché nella realtà chi ottiene l'illecito risparmio di imposta (profitto) è l'utilizzato­re delle fatture e tale circostanz­a è facilmente dimostrabi­le (abbattimen­to del reddito e/o indebita detrazione dell'Iva). Nei confronti dell'emittente invece per applicare la confisca è necessario che venga provato l'incasso da parte dell'emittente abbia di un compenso per l'emissione dei falsi documenti.

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