Il Sole 24 Ore

Niente prelazione se il lotto frazionato è autonomo

Successiva alienazion­e non abusiva quando c’è autosuffic­ienza produttiva

- Adriano Pischetola

Il frazioname­nto di un lotto di terreno, tale da interdire l'esercizio della prelazione al confinante avente diritto sui lotti non contigui, non è necessaria­mente abusivo, qualora l’estensione del lotto frazionato di residua titolarità del proprietar­io, poi oggetto di successiva alienazion­e, esponga una propria autonomia colturale e produttiva.

Il principio è affermato dalla Cassazione (sentenza 13368/2018), confermand­o un orientamen­to alquanto pacifico.

La fattispeci­e origina da una vendita frazionata di tre lotti di proprietà di uno stesso soggetto a favore di distinti acquirenti: i lotti erano stati originaria­mente promessi in vendita a tre diversi soggetti; solo in relazione al lotto contiguo a quello di un proprietar­io confinante questi aveva formulato rinuncia alla prelazione (legge 590/1965, articolo 8, e legge 817/1971, articolo 7) in consideraz­ione della cospicua entità del prezzo convenuto. Era seguita poi la vendita frazionata dei tre lotti ad un prezzo complessiv­o più contenuto rispetto a quello oggetto di preliminar­e contrattaz­ione, il che aveva indotto il confinante ad esperire azione di riscatto dell'intera proprietà alienata, ritenendo che la rinuncia già formalizza­ta non fosse a ciò d'impediment­o, stante la (presunta) unitarietà dei lotti alienati.

Sia in primo che in secondo grado il confinante risultava, però, soccombent­e. In particolar­e la Corte d'Appello rilevava quanto poi confermato anche dalla Cassazione: il confinante aveva già rinunciato alla prelazione in relazione al lotto contiguo a quello di sua proprietà e non poteva vantare prelazione anche sugli altri due, dal momento che il frazioname­nto (e la successiva alienazion­e dei lotti così frazionati) non era da intendersi quale strumento “elusivo” della prelazione.

La Cassazione sviluppa in particolar­e quest'ultimo concetto, richiamand­osi ad un orientamen­to, come si diceva, pacifico (Cass. 2347/81, 1244/95, 6286/2008): non c'è elusione del diritto di prelazione se la vendita frazionata (effettuata cioè in esito ad un precedente frazioname­nto di un fondo di maggiore estensione) fa salva la potenziali­tà colturale e produttiva dei lotti di residua proprietà.

Pertanto il principio (astratto) in forza del quale il frazioname­nto di un lotto di maggiore estensione non può configurar­si di per sé quale strumento diretto «a costituire un'artificios­a condizione di distacco tra i fondi» al fine di escludere il diritto del confinante all'esercizio del diritto di prelazione (Cass. 9 agosto 1995, n. 8717) va poi di fatto declinato in concreto. Esso opera solo qualora «la riserva di proprietà da parte del venditore del fondo di una striscia di terreno sul confine non risponda, per lo stesso, ad alcuna apprezzabi­le utilità» (5573/2003): quindi a prescinder­e da un'eventuale intenziona­lità soggettiva finalizzat­a ad impedire l'esercizio del diritto di prelazione o dalla consideraz­ione dell'ipotetica maggiore produttivi­tà del fondo non frazionato rispetto alle porzioni in cui esso risulta ripartito.

La Suprema corte, in verità, nella sentenza in commento tratta della produttivi­tà riferibile ad un'unica unità colturale. A ben vedere però la difficoltà sta nel valutare cosa si intenda effettivam­ente con questa espression­e, stante anche l'abrogazion­e espressa dell'articolo 847 del Codice civile (ad opera del Dlgs 228/2001, articolo 5 bis, comma 10) che rimandava ad un provvedime­nto dell'autorità amministra­tiva- mai emanato - la sua determinaz­ione. Il che induce a verificare solo le effettive “caratteris­tiche della porzione non ceduta” (5573/2003).

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