Niente prelazione se il lotto frazionato è autonomo
Successiva alienazione non abusiva quando c’è autosufficienza produttiva
Il frazionamento di un lotto di terreno, tale da interdire l'esercizio della prelazione al confinante avente diritto sui lotti non contigui, non è necessariamente abusivo, qualora l’estensione del lotto frazionato di residua titolarità del proprietario, poi oggetto di successiva alienazione, esponga una propria autonomia colturale e produttiva.
Il principio è affermato dalla Cassazione (sentenza 13368/2018), confermando un orientamento alquanto pacifico.
La fattispecie origina da una vendita frazionata di tre lotti di proprietà di uno stesso soggetto a favore di distinti acquirenti: i lotti erano stati originariamente promessi in vendita a tre diversi soggetti; solo in relazione al lotto contiguo a quello di un proprietario confinante questi aveva formulato rinuncia alla prelazione (legge 590/1965, articolo 8, e legge 817/1971, articolo 7) in considerazione della cospicua entità del prezzo convenuto. Era seguita poi la vendita frazionata dei tre lotti ad un prezzo complessivo più contenuto rispetto a quello oggetto di preliminare contrattazione, il che aveva indotto il confinante ad esperire azione di riscatto dell'intera proprietà alienata, ritenendo che la rinuncia già formalizzata non fosse a ciò d'impedimento, stante la (presunta) unitarietà dei lotti alienati.
Sia in primo che in secondo grado il confinante risultava, però, soccombente. In particolare la Corte d'Appello rilevava quanto poi confermato anche dalla Cassazione: il confinante aveva già rinunciato alla prelazione in relazione al lotto contiguo a quello di sua proprietà e non poteva vantare prelazione anche sugli altri due, dal momento che il frazionamento (e la successiva alienazione dei lotti così frazionati) non era da intendersi quale strumento “elusivo” della prelazione.
La Cassazione sviluppa in particolare quest'ultimo concetto, richiamandosi ad un orientamento, come si diceva, pacifico (Cass. 2347/81, 1244/95, 6286/2008): non c'è elusione del diritto di prelazione se la vendita frazionata (effettuata cioè in esito ad un precedente frazionamento di un fondo di maggiore estensione) fa salva la potenzialità colturale e produttiva dei lotti di residua proprietà.
Pertanto il principio (astratto) in forza del quale il frazionamento di un lotto di maggiore estensione non può configurarsi di per sé quale strumento diretto «a costituire un'artificiosa condizione di distacco tra i fondi» al fine di escludere il diritto del confinante all'esercizio del diritto di prelazione (Cass. 9 agosto 1995, n. 8717) va poi di fatto declinato in concreto. Esso opera solo qualora «la riserva di proprietà da parte del venditore del fondo di una striscia di terreno sul confine non risponda, per lo stesso, ad alcuna apprezzabile utilità» (5573/2003): quindi a prescindere da un'eventuale intenzionalità soggettiva finalizzata ad impedire l'esercizio del diritto di prelazione o dalla considerazione dell'ipotetica maggiore produttività del fondo non frazionato rispetto alle porzioni in cui esso risulta ripartito.
La Suprema corte, in verità, nella sentenza in commento tratta della produttività riferibile ad un'unica unità colturale. A ben vedere però la difficoltà sta nel valutare cosa si intenda effettivamente con questa espressione, stante anche l'abrogazione espressa dell'articolo 847 del Codice civile (ad opera del Dlgs 228/2001, articolo 5 bis, comma 10) che rimandava ad un provvedimento dell'autorità amministrativa- mai emanato - la sua determinazione. Il che induce a verificare solo le effettive “caratteristiche della porzione non ceduta” (5573/2003).