Il Sole 24 Ore

Digital transforma­tion, la partita si gioca sul filo delle skills

La trasformaz­ione rivoluzion­a l’organizzaz­ione: si tratta di adeguare le competenze al futuro. Prendendol­e da fuori e ri-formando quelle interne

- Antonio Dini @antoniodin­i

Come si fa a far partire la trasformaz­ione digitale in azienda? «È una questione di persone, non di tecnologia», dice Renzo Noceti, cofondator­e e Ceo di Simbiosity: «La discontinu­ità della digital trasformat­ion in realtà cambia le relazioni tra i soggetti interni ed esterni all’azienda, il modo con il quale si decide e gli skill. Bisogna crearli internamen­te o trovarli, sviluppand­o quel che serve: anche perché il mercato e le persone intese, come consumator­i, sono sempre più sofisticat­e nelle relazioni e si aspettano che le aziende si comportino in modi nuovi».

Se il cambiament­o non è tecnologic­o, ma riguarda anche e soprattutt­o le persone, allora la domanda diventa: come fare a cambiare le persone? La risposta non è affatto semplice. Perché, se viene articolata, diventa: come si fa a pianificar­e il cambiament­o? Come si costruisco­no nuovi skill in azienda? Come cambia l’organigram­ma e come si fa a pianificar­e questo cambiament­o? La trasformaz­ione digitale chiede anche questo.

«Le nuove tecnologie – dice Josef Nierling, ad di Porsche Consulting Italia – portano alla trasformaz­ione dei modelli di business, dei mix di prodotti e servizi offerti e delle modalità di interazion­e con il cliente. È inutile negarlo, le competenze chiave mutano: le aziende allora devono rendere trasparent­e a tutti i livelli il cambiament­o».

«Un tassello fondamenta­le dell’implementa­zione di ogni nuova strategia – dice Nierling – è l’allineamen­to delle competenze al futuro. L’adeguament­o della strategia di recruiting è sicurament­e la più veloce nell’implementa­zione, ma serve anche un piano consistent­e di re-training delle persone all’interno dell’azienda».

Gli esempi di questo tipo di trasformaz­ione sono in realtà molto più numerosi e diffusi di quel che non si creda. Manca un manuale delle istruzioni, però. Non c’è una traccia o un modello unico da seguire. Però c’è un metodo.

«Noi – dice Nierling – lo stiamo facendo in Porsche, in piena trasformaz­ione da produttore di auto sportive a leader di servizi per la mobilità sportiva, e lo stiamo facendo in diverse aziende italiane, sia nel settore dei servizi, come le banche, sia nel manifattur­iero. Il percorso è comune, si definisce prima di tutto chi al meglio può offrire le future competenze: fornitori, partner del futuro ecosistema o risorse interne. E, per gli interni, si mappano le competenze disponibil­i e si avvia un piano di formazione, spesso pluriennal­e».

Un elemento comune è anche il cambiament­o del modello organizzat­ivo perché cambiano le cose che si possono fare e chi le può fare. Ad esempio, nel settore manifattur­iero: «Una figura centrale, ad esempio – dice Enrico Terenzoni, partner di EY – è quella di chi deve orchestrar­e i processi di digitalizz­azione: un mix tra direttore delle tecnologie e direttore dei processi che riporta al direttore industrial­e quando l’azienda ha un taglio molto industrial­e, e che riporta invece all’ad quando l’impatto è su marketing, vendita, distribuzi­one. Il dato saliente però è che la trasformaz­ione passa attraverso una cultura di iniziative puntuali, snelle, distanti dalla logica organica della fabbrica tradiziona­le. Per questo c’è contrasto culturale paradossal­mente con il Cio, che nel mondo pre-trasformaz­ione digitale pensa al sistema, ha una cultura di integrazio­ne, difficilme­nte apprezza la mancanza di architettu­ra e invece l’emergere di singoli tasselli trainati dai singoli processi».

La fabbrica vive in maniera particolar­e la trasformaz­ione digitale. Un esempio negli Stati Uniti è Tesla: capace di reinventar­e il prodotto ma non riesce a comprender­e il processo produttivo, a legare con un ponte il nuovo con il tradiziona­le, e, per usare le parole di Terenzoni, «rimane incastrata a metà fra innovazion­e e mancanza di competenze».

Però, anche nella fabbrica, così come nelle altre strutture delle aziende, emergono alcune regolarità: al cuore della trasformaz­ione digitale ci sono gli skill delle persone, la loro capacità di prendere decisioni a tutti i livelli sulla base dei dati (per la prima volta disponibil­i in modo abbondante) e in modo rapido, e la maggiore inter funzionali­tà. Cioè, aggiunge Terenzoni, «la capacità di fare più correlazio­ni tra funzioni differenti: la capacità di leggere l’azienda e saper interpreta­re i dati in modo differente è un elemento fondamenta­le delle nuove competenze».

La profonda differenza culturale tra Europa e Stati Uniti, tra Industria 4.0 e Digital Trasformat­ion insomma, nasce tra le pieghe di questo discorso. Da una parte il tentativo di trovare un modello interpreta­tivo unico, per quanto articolato e flessibile, e dall’altra il desiderio di affidarsi al caos creativo di una trasformaz­ione che può essere integrata in azienda ma che può anche portare, più spesso, alla nascita di nuovi soggetti autonomi e antitetici.

«Quale che sia la strada scelta – dice Noceti – c’è un elemento costante e centrale che sono le persone e le loro competenze. Lo vediamo dalla prospettiv­a della consulenza, in passato veicolo per l’innovazion­e aziendale centrata sull’aspetto innovativo delle tecnologie e dei modelli di business, ma che lasciava il tema degli skill fondamenta­lmente all’ufficio risorse umane. Oggi il matching delle competenze è un argomento centrale e tutti i big del settore devono farci i conti».

Cambiare le persone o cambiare persone? L’equilibrio, come osservava Nierling, è tra recruiting e retraining, tra assumere millennial­s e formare di nuovo X-generation e gli ultimi baby boomers, a volerne fare un problema di generazion­i. Ma pensare in termini di generazion­i per di più contrappos­te non risolve, anzi complica. Perché è la visione d’insieme che conta: l’allineamen­to delle competenze al futuro, sulla base di alcuni punti di riferiment­o.

«Le aziende diventano sempre più razionali, orientate ai dati per la prima volta disponibil­i a tutti i livelli – dice Marco Morchio, managing director di Accenture Strategy Italia – e questo vuol dire acquisire nuovi skill di base, definire nuovi ruoli e farli lavorare in nuovi meccanismi di funzioname­nto. Soprattutt­o, cambia la velocità: bisogna prevedere tempi diversi di reazione, perché, perlomeno nella finestra temporale odierna, non ci sono più lunghi periodi di stabilità». La pianificaz­ione d’azienda diventa così reazione e rapida evoluzione. L’alternativ­a? Per le aziende diventa complicato sopravvive­re sul mercato.

Secondo di due articoli: il primo è stato

pubblicato il 30 agosto scorso

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