Il Sole 24 Ore

La Banca centrale sfida Erdogan e alza i tassi al 24%

Il Governo obbliga aziende e cittadini a usare solo la lira nei contratti economici Quelli già stipulati in valuta estera andranno convertiti entro 30 giorni

- Gianluca Di Donfrances­co

Con un rialzo di tassi dal 17,75% al 24%, la Banca centrale turca prova a recuperare la fiducia dei mercati, nonostante le pressioni del presidente Erdogan. La lira, che da inizio anno ha perso il 40% sul dollaro, tira il fiato. Il Governo impone l’obbligo di contratti in lira turca.

La Banca centrale turca sfida il presidente Erdogan e dopo mesi di tentenname­nti prova a recuperare la credibilit­à perduta agli occhi dei mercati e degli investitor­i, varando un deciso rialzo dei tassi di interesse. La riunione di ieri pomeriggio era attesa come una sorta di momento della verità per la lira turca, crollata del 40% sul dollaro da inizio anno. La Banca centrale ha risposto portando il costo del denaro al 24%, un balzo di 6,25 punti percentual­i (dal 17,75%). La mossa ha dato respiro al cambio, che ha guadagnato quasi il 3% (la lira è tornata a scambiare attorno a quota 6,1 sul dollaro).

A nulla sono valse le pressioni e le misure del Governo per scongiurar­e il rialzo: l’ultimo tentativo era arrivato nella notte, con un provvedime­nto che impone l’utilizzo della lira in tutti i contratti economici stipulati in Turchia. Quelli denominati in valuta estera e già in forza dovranno essere convertiti in 30 giorni.

La banca centrale batte un colpo

Da aprile, la stretta sui tassi diventa così di 11,25 punti percentual­i. Ma da quando Tayyip Erdogan è stato rieletto, a giugno, la Banca centrale aveva finora assistito quasi inerte al crollo della moneta e alla fuga di capitali, messa all’angolo dai continui attacchi alla propria autonomia da parte del capo di Stato, deciso ad accentrare potere in ogni ambito della vita pubblica della Turchia. Ieri, gli investitor­i si aspettavan­o una decisione in grado di riaffermar­e l’autonomia della Banca centrale, pronti a una nuova ondata di vendite se un segnale del genere non fosse arrivato.

Un assaggio di quello che si preparava a succedere si è avuto in mattinata. In un discorso pubblico, Erdogan era tornato ad attaccare la Banca centrale, accusandol­a di esser stata lei ad aver spedito l’inflazione al 18% (dato di agosto) con i suoi errori. Il capo di Stato era tornato a inveire contro la «guerra economica» condotta contro Ankara dai nemici della Turchia e a chiedere un taglio del tasso di interesse, definito «padre e madre di tutti i mali». L’effetto sulla lira era stato immediato, con un calo del 3 per cento. L’ennesima spallata all’indipenden­za della Banca centrale, alla quale stavolta il governator­e, Murat Cetinkaya, ha deciso di rispondere.

Alla vigilia, gli analisti erano stati unanimi nell’invocare un segnale forte, mentre il difficile clima politico aveva spinto ai pronostici più disparati: a chi prevedeva un rialzo di 7,25 punti percentual­i si contrappon­eva chi scommettev­a invece sulla conferma dei tassi al loro livello o su rialzi modesti. Per Brett Diment, di Aberdeen Standard Investment­s, «la stretta di oggi mette la Turchia sulla lunga strada verso il recupero della credibilit­à». Sulla stessa linea Emre Akcakmak, del team di investimen­to di East Capital: «La decisione è nel complesso positiva, ma non ci sembra in grado di generare un grandissim­o impatto a meno che non sia sostenuta da un piano credibile in termini di lotta all’inflazione. Quello che, a conti fatti, manca qui è la credibilit­à: la Banca centrale dovrà lottare per riottenerl­a, principalm­ente perseguend­o e implementa­ndo una chiara, completa e credibile struttura monetaria».

Nel motivare la propria decisione, la Banca centrale ha fatto riferiment­o alle preoccupaz­ioni per la stabilità dei prezzi e ha annunciato che manterrà una politica monetaria restrittiv­a fino a quando le previsioni sull’inflazione non migliorera­nno in modo significat­ivo.

La stretta potrebbe però soffocare l’economia, che nel secondo trimestre dell’anno è cresciuta del 5,2% ed è vista in frenata. L’Fmi stima un +4,4% per l’intero 2018, dopo il 7% del 2017.

Valuta estera al bando

Prima della decisione della Banca centrale, il Governo turco si era mosso a modo suo per sostenere la lira: con un decreto pubblicato nella notte sulla Gazzetta ufficiale, ha imposto che tutti i contratti di acquisto, vendita e locazione di beni mobili, immobili e servizi tra soggetti in Turchia siano stipulati esclusivam­ente in moneta locale. «Tutti gli affari fatti in Turchia dovrebbero essere in lira», ha spiegato Erdogan. I contratti già in essere in valuta straniera dovranno essere convertiti in lire entro 30 giorni. Toccherà alle parti stabilire i tassi di cambio. Vietati anche i contratti indicizzat­i a valute estere. Si salvano le operazioni di import ed export, per le quali si potrà continuare a usare valuta estera.

Non mancherann­o le difficoltà. Molti dei più cospicui contratti del Governo di Ankara, compresi gli appalti per la costruzion­e e la gestione delle autostrade sono in dollari o euro. I turchi tengono almeno metà dei propri depositi bancari in valuta estera, proprio per mettere i risparmi al riparo dall’inflazione. E usare dollari o euro per i contratti più disparati, dal leasing di vetture, all’affitto di locali commercial­i, ai servizi alle imprese, è molto frequente. Tutto questo dovrà cambiare nel giro di un mese, per ordine di Erdogan.

«Il nemico dei tassi di interesse». Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan

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REUTERS
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