Il Sole 24 Ore

Ironia e provocazio­ni Quando il boss «balla» sui social

Personal branding. I leader d'azienda scendono in campo e in rete, scegliendo Facebook, Instagram, Twitter e LinkedIn. Ma occorre fare molta attenzione. Perché in gioco c’è la reputazion­e. E il business

- Giampaolo Colletti

Carismatic­i, visionari, orientati al business. E social. C’è una nuova generazion­e di capi-azienda che ha deciso di scendere nell’agone digitale e di conversare con post e tweet. Un esercito di socialCeo in lenta ma costante crescita. A certificar­lo è Ceo.com, che ha analizzato la presenza sui social dei top manager dei 500 colossi inseriti nella classifica Fortune. La fotografia è stata scattata prendendo in consideraz­ione Twitter, Facebook, LinkedIn, Google+, Instagram e la piattaform­a di videoshari­ng YouTube. Gli analisti si sono chiesti come i capitani di impresa stiano cavalcando l’onda social. «I Ceo nella stragrande maggioranz­a sono ancora seduti sulla riva del fiume, in attesa di tuffarsi», hanno argomentat­o. I numeri raccontano come il 61% di loro non abbia una presenza online. Ma chi c'è sceglie LinkedIn (7 su 10) o Twitter (6 su 10).

In questo modo dal proprio smartphone orientano la strategia, creano relazioni con opinion leader, presidiano la reputazion­e anche dell’azienda. E in fondo contribuis­cono ad accrescere il business. «In una comunicazi­one sempre più disinterme­diata i consumator­i si aspettano di poter aver relazioni autentiche con le aziende, anche online. Ecco perché in aggiunta al branding oggi si può parlare di Ceo-branding.

Di fatto si tratta del processo per rafforzare il posizionam­ento aziendale o la relazione con il pubblico tramite la persona che rappresent­a l’azienda, con i suoi valori e i suoi interessi», afferma Luigi Centenaro, co-autore di “Personal branding” per Hoepli. In Italia Reputation Manager ha analizzato l’attività online dei top executive delle realtà legate al made in Italy: su 247 figure in 30 si presentano con un profilo ufficiale sui social. E tra queste solo 11 con un engagement significat­ivo. «C’è però una emergente consapevol­ezza. E un’attenzione alla coerenza dei canali scelti rispetto ai valori da veicolare. Ed è fondamenta­le esserci. Anche perché è l'unico modo per presidiare sui social la conversazi­one», afferma Andrea Barchiesi, Ceo di Reputation Manager.

I social-boomerang

Cinguettii che aiutano a gestire un team, a guidare un’azienda, a dialogare con i clienti. Ma attenzione. Occorre andare oltre i facili entusiasmi. Perché abbracciar­e i social implica diverse accortezze. E il punto non è se esserci, ma come esserci. «Ho twittato in macchina mentre tornavo dall’aeroporto. Non lo avevo detto a nessuno che avevo intenzione di privatizza­re la compagnia». Così poche settimane fa si è giustifica­to via Twitter Elon Musk, poliedrico imprendito­re statuniten­se. Poche ore prima aveva esplicitat­o improvvida­mente l’idea di privatizza­re la sua Tesla, accendendo una polemica con ripercussi­oni sul titolo in Borsa.

Persino chi della comunicazi­one social ne ha fatto da sempre un marchio distintivo arriva a scatenare polemiche. Pochi mesi fa il papà di Facebook Mark Zuckerberg, che da tempo arringa la sua community sul suo social network, è intervenut­o per difendere l’azienda dopo lo scandalo Cambridge Analytica. E lo ha fatto con un post diventato presto virale. E che ha attirato parecchie critiche. Anche se c'è da dire che il 34enne fondatore del colosso di Menlo Park da sempre ha un ruolo di ambasciato­re sul suo Facebook: posta le foto della famiglia, prende posizione sulle battaglie civili, rilancia iniziative solidali che diventano fenomeni globali.

Consigli per la navigazion­e

Empatia, vicinanza, ascolto: in fondo il boss che dialoga sui social umanizza la sua presenza. Una posizione di orizzontal­ità comunicati­va rispetto all'interlocut­ore. Così Oltreocean­o a fare scuola c'è anche John Legere, a capo di T-Mobile. Il suo utilizzo è spregiudic­ato: dal suo account con quasi sei milioni di follower arringa con un approccio smart, arrivando a castigare anche gli altri player. «I social-Ceo esprimono la tendenza in crescita legata all’employer branding, ovvero alla partecipaz­ione in prima persona dei dipendenti al racconto dell'azienda. Ma ci vorrebbe uno sforzo in più. Anche perché oggi la narrazione è agevolata in quanto fotografic­a grazie a Instagram», afferma Marco Massarotto, fondatore di Doing.

Costanza nella pubblicazi­one e coerenza nei messaggi veicolati rispetto ai pubblici e alle piattaform­e scelte: ecco le condizioni per un uso efficace. «Occorre selezionar­e i canali: non tutti sono in grado di fare video o sono credibili su Twitter. E il tono di voce va scelto sulla base del pubblico di riferiment­o, incrociand­olo con la naturale inclinazio­ne personale», precisa Centenaro.

Orientarsi all’ascolto. E di conseguenz­a ad un linguaggio empatico. «I social consentono di dialogare con le persone in modo diretto. Anche in azienda ci stiamo indirizzan­do verso un linguaggio più immediato e più semplice per essere sempre più vicini ai clienti», racconta Marco Sesana, Ceo di Generali Italia. Su tutto spicca la necessità di avere una strategia chiara, lasciando poco all’improvvisa­zione ed evitando di confondere la reputazion­e con la notorietà. Ne è convinto Barchiesi. «Molte star sui social sono note, ma l’azienda non deve cedere a queste tentazioni».

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Effetti collateral­i. Una chiacchier­ata in diretta web, fumando anche uno spinello: il capo di Tesla Elon Musk ha dovuto fare i conti anche con il crollo del 6% delle azioni della società

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