Il Sole 24 Ore

Torna la Cigs «per cessazione»: fino a 12 mesi in più di sussidio

Pronta la norma (salvo intese) che corregge il Jobs Act. Vale per il 2019 e il 2020

- Claudio Tucci

Cancellata con il Jobs act nel 2016, torna la Cassa integrazio­ne straordina­ria per le imprese che cessano (o sono in procinto di arrestare) l’attività produttiva. Il nuovo ammortizza­tore potrà avere una durata fino a un massimo di 12 mesi, e varrà per un biennio, vale a dire per gli anni 2019 e 2020. L’obiettivo è garantire un sussidio “ponte” a quei lavoratori coinvolti in crisi aziendali pesanti, in attesa di una loro ricollocaz­ione.

Annunciata, in estate, dal ministro del Lavoro, e vice premier, Luigi Di Maio, durante una visita alla Bekaert - multinazio­nale belga che ha chiuso lo stabilimen­to in Toscana, delocalizz­ando in Romania e lasciando senza occupazion­e oltre 300 addetti - è pronta la norma che reintroduc­e la Cigs per cessazione d’attività. La disposizio­ne (salvo intese) è inserita nel decreto urgenze, esaminato ieri dal Cdm. Per far scattare il sussidio occorre un accordo in sede governativ­a al ministero del Lavoro, assieme a Mise e regione interessat­a. Il trattament­o di integrazio­ne salariale spetta, in prima battuta, nel caso in cui l’azienda «abbia cessato o cessi l’attività produttiva». Non solo. La norma estende infatti i 12 mesi massimi di Cigs “per cessazione” anche alle fattispeci­e in cui «sia possibile realizzare interventi di reindustri­alizzazion­e del sito produttivo».

L’erogazione del sussidio è “condiziona­ta”: debbono, cioè, sussistere «concrete prospettiv­e di rapida cessione dell’azienda» (ci deve essere un acquirente), con «il conseguent­e riassorbim­ento occupazion­ale», attraverso pure «specifici percorsi di politiche attive».

Il tema è delicato. La riforma del 2015 ha ridisegnat­o la cassa integrazio­ne per evitare gli abusi del passato, rendendo universale il sussidio di disoccupaz­ione, la Naspi, fino a 24 mesi. Tuttavia, il mix di durate rigide e limitate a cui si è aggiunto l’aggravio di costi per le imprese utilizzatr­ici ha prodotto l’effetto di far crollare l’utilizzo della cassa, complice, in parte, anche una timida ripresa. Nei primi sette mesi dell’anno le ore di Cigs autorizzat­e dall’Inps, nel tendenzial­e, si sono pressocché dimezzate (-46,4%); e il tiraggio (vale a dire, l’utilizzo effettivo delle ore di Cigs richieste) si è fermato a un modesto 26,09%. Al tempo stesso, sono schizzate su le domande di disoccupaz­ione (Naspi), che da diversi mesi viaggiano abbondante­mente sopra le 100mila istanze; e soprattutt­o, non sono ancora decollate le politiche attive (dall’entrata a regime, lo scorso maggio, le domande di assegno di ricollocaz­ione presentate in tutt’Italia non hanno superato le 2mila unità).

Di qui la necessità per il governo giallo-verde di affrontare con urgenza il dossier “crisi aziendali” per non lasciare senza tutele i lavoratori in uscita (le parti sociali già nel settembre 2016 avevano proposto soluzioni, recepite però solo in parte dal precedente governo).

Oltre al ripristino della Cigs per cessazione (certo, l’intervento andrebbe coordinato con gli strumenti esistenti, come l’accordo di ricollocaz­ione), un altro tassello, inserito nel decreto milleproro­ghe, è l’ampliament­o degli interventi di Cigs a sostegno dei lavoratori anche di aziende che operano in aree interessat­e da accordi di programma per la reindustri­alizzazion­e del sito produttivo in difficoltà (è il caso Merloni).

Per altre due misure si guarda invece alla legge di Bilancio: qui si ipotizza di aggiungere nel 2019 altri 100 milioni per la Cigs nelle aree di crisi industrial­e complessa. C’è poi “quota 100” con l’ipotesi di istituire un fondo per gestire gli esuberi (finanziato anche da Ape social).

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