UN CAPITALISMO SOSTENIBILE E RESPONSABILE
Sebbene il partito socialdemocratico svedese non sia crollato del tutto (contrariamente alle previsioni), il risultato delle elezioni di domenica scorsa ha confermato anche nel Paese scandinavo più avanzato quanto è avvenuto altrove negli ultimi due decenni: ossia il tramonto dell’era socialdemocratica. A inaugurarla fra gli anni 50 e 60 furono due ordini di fattori. Da un lato, la convergenza realizzatasi, nell’opera di governo, fra partiti progressisti e partiti liberal-democratici, che diede luogo a una serie di riforme tali da integrare i diritti civili e le libertà politiche con i principi dell’uguaglianza sociale e dell’equità distributiva. Dall’altro, un processo di sviluppo economico senza precedenti e l’avvento dello Stato sociale, che, migliorando pervasivamente il tenore di vita delle masse popolari, posero le premesse sulle due sponde dell’Atlantico a una rivoluzione silenziosa destinata a battere in breccia il sistema totalitario e collettivista cristallizzato del blocco sovietico.
Oggi che quest’ultima versione del capitalismo è andata dissolvendosi, ci si chiede perciò quale potrebbe essere una sua riedizione con nuove sembianze. Vari elementi hanno modificato radicalmente lo scenario e le prospettive sia dell’universo economico che di quello politico e sociale: la globalizzazione e la rivoluzione informatica, la Grande crisi esplosa nel 2008 e il sopravvento di un’overdose di affarismo finanziario, nonché l’ascesa alla ribalta delle nuove potenze asiatiche e il ritorno in auge della Russia (con le loro ingenti risorse materiali e i loro vasti territori) e, per contro, la mancata formazione da parte degli Stati europei di un’autentica Unione politica dopo quella monetaria, e il loro welfare sempre più striminzito, di fronte all’allargamento della disoccupazione e delle sacche di povertà.
In questo contesto è andata diffondendosi in Occidente, e soprattutto nel Vecchio continente, la sindrome del declino. Ad alimentarla è stata una requisitoria perentoria nei confronti di quanto è accaduto nel corso degli ultimi decenni a causa (secondo Serge Latouche e altri analisti) degli effetti distorsivi di un capitalismo marchiato da un “totalitarismo economicista” e da un’ideologia “sviluppista e progressista”. Non resterebbe perciò, stando ad alcuni critici sia della destra che della sinistra antagonista, che puntare su un’arcadica quanto fantasiosa “decrescita felice”, quale alternativa a una concezione rivelatasi lungo la strada distruttiva, fonte unicamente di speculazioni predatorie, diseguaglianze sociali e manomissioni dell’ambiente naturale.
Entrambe queste asserzioni hanno senz’altro posto in piena luce certe contraddizioni di un neoliberismo senza regole e accoppiato a un determinismo tecnologico. Ma la questione cruciale da affrontare è di vedere in che modo sia possibile innestare una concreta inversione di rotta.
Di fatto sono tanti e cruciali i problemi con cui occorre misurarsi a tal fine, in quanto gli sviluppi sempre più intensi della robotica e dell’intelligenza artificiale, smaterializzando una parte rilevante dell’attività industriale, vanno riducendo numerosi posti di lavoro, senza crearne frattanto proporzionalmente di nuovi. Inoltre occorre regolare un fenomeno epocale come la crescente immigrazione verso l’Europa, in quanto essa genera, se oltrepassa una certa soglia, vampate xenofobe dovute non solo alle campagne razziste dell’ultradestra ma alle “guerre fra poveri” in merito alla ripartizione delle risorse sempre più magre del Welfare. Non da ultimo, si ha a che fare con i mutamenti in corso dei precedenti equilibri geoeconomici, in seguito alla contesa in corso fra Usa e Cina, per il primato sul mercato globale, con uno strascico di pericolose incognite sul versante militare e strategico.
In pratica, non è certo il revival nell’America di Donald Trump degli animal spirits del capitalismo d’un tempo a poter esorcizzare lo spettro di una decadenza dell’Occidente, bensì un nuovo genere di capitalismo “sostenibile e responsabile”. Soltanto l’Europa potrebbe perciò porne i germi se riuscisse a realizzare riforme strutturali tali da accrescerne le sue potenzialità competitive, scongiurare il rischio di altri shock finanziari, e ridurre diseguaglianze sociali e intergenerazionali. Così da rendere possibile un capitalismo svincolato, da un lato, da una sorta di “totalitarismo cibernetico” senza briglie etico-normative e a salvaguardia dell’ambiente; e, dall’altro, in sintonia con i principi fondamentali della democrazia liberale e quindi non esposto a derive di carattere oligarchico o a suggestioni populiste demagogiche. Forse si tratta di un’utopia; ma, come ha asserito Papa Francesco nella sua recente intervista a questo giornale, bisognerebbe provare a costruirla.