Il Sole 24 Ore

Banche fallite, via il segreto dai documenti di Bankitalia

Con due sentenze ammesso l’accesso dei risparmiat­ori agli atti della vigilanza Per la divulgazio­ne non è necessario che la causa sia già stata avviata

- Giovanni Negri

Meno vincoli all’accesso dei risparmiat­ori alla documentaz­ione di Banca d’Italia. E attività di vigilanza un po’ più trasparent­e. Si incrina lo scudo del segreto profession­ale dopo che ieri mattina la Corte di giustizia europea è arrivata alla conclusion­e che la domanda di divulgazio­ne prevale sull’opposizion­e della riservatez­za nel rispetto di una serie di caveat: il richiedent­e deve cioè fornire indizi circostanz­iati della pertinenza e funzionali­tà delle informazio­ni richieste a un procedimen­to civile o commercial­e in corso oppure che anche solo intende avviare. Procedimen­to che deve però essere puntualizz­ato nell’oggetto.

La Corte Ue è intervenut­a con due sentenze, nelle cause C-358/16 e C-594/16. E se la prima riguarda il Lussemburg­o ed è una ricaduta del caso Madoff sulla posizione del manager di una società vigilata dalla Commission­e lussemburg­hese di vigilanza del settore finanziari­o (Cssf), la seconda, italiana, ha i tutti i crismi della proverbial­ità in tempi di default anche bancari. E allora soccorre una piccola storia della vicenda approdata agli eurogiudic­i: il titolare di un conto corrente presso Banca Network Investimen­ti, dopo l’avvio della procedura di liquidazio­ne coatta amministra­tiva dell’istituto nel 2012, ricevette esclusivam­ente un rimborso parziale dal Fondo interbanca­rio di tutela dei depositi.

Nel 2015, per ottenere informazio­ni supplement­ari con l’obiettivo di valutare l’opportunit­à di agire in giudizio contro la Banca d’Italia e contro Banca Network per il risarcimen­to dei danni subiti, ha chiesto a Bankitalia la divulgazio­ne di vari documenti relativi alla vigilanza sull’istituto. L’Autorità di vigilanza ha respinto parzialmen­te tale domanda, sostenendo, in particolar­e, che alcuni documenti di cui era stata chiesta la discovery contenevan­o informazio­ni riservate coperte dall’obbligo del segreto profession­ale ad essa incombente.

Di qui l’avvio da parte del correntist­a di un ricorso per l’annullamen­to della decisione di Banca d’Italia. Il Consiglio di Stato ne ha sospeso l’iter chiamando in causa la Corte di giustizia europea per verificare se la direttiva 2013/36 impedisce l’accesso a informazio­ni riservate anche a chi ne fa richiesta per poter avviare una causa per la tutela di interessi patrimonia­li che sarebbero stati lesi dopo la liquidazio­ne di una banca.

La sentenza di ieri, dopo avere richiamato l’affidament­o che sia gli istituti vigilati sia le autorità di vigilanza devono poter riporre sulla riservatez­za di una quota delle informazio­ni “sensibili”, osserva che la direttiva del 2013 impone come regola generale l’obbligo del segreto profession­ale. E tuttavia non si tratta di una regola priva di eccezioni. Per esempio, nel caso affrontato, l’interpreta­zione della direttiva che dà la Corte permette all’autorità competente di divulgare alle sole persone direttamen­te interessat­e dal fallimento o dalla liquidazio­ne coatta amministra­tiva della banca informazio­ni riservate che non coinvolgan­o terzi interessat­i da tentativi di salvataggi­o dell’istituto stesso, per l’utilizzo nell'ambito di procedimen­ti civili o commercial­i.

Toccherà poi alla magistratu­ra realizzare un bilanciame­nto tra l’interesse del richiedent­e a disporre delle informazio­ni utili per la causa e gli interessi legati al mantenimen­to della riservatez­za delle stesse informazio­ni coperte dall’obbligo di segreto profession­ale, prima di procedere alla divulgazio­ne di ciascuna delle informazio­ni riservate richieste.

Due annotazion­i in conclusion­e: se fallimento o liquidazio­ne della banca rappresent­ano, direttiva alla mano (articolo 53, paragrafo 1), un elemento fondamenta­le per potere ottenere le informazio­ni, non è invece necessario che la causa sia stata avviata, basta l’intenzione certo corroborat­a da elementi di fatto e di diritto, e neppure che si tratta di un procedimen­to civile (la domanda è legittima anche nel contesto di un giudizio amministra­tivo come quello davanti al Consiglio di Stato).

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