Leverage buy out a inerenza garantita: la Corte blinda lo sgravio degli interessi
Secondo la Cassazione, la deduzione degli oneri è «insindacabile» L’interpretazione dei giudici esclude a priori anche le accuse di abuso del diritto
Il tema della deducibilità degli interessi passivi per società di capitali è questione di primaria importanza che va analizzata sulla base del concetto di inerenza così come definito dall’articolo 109, comma 5, del Tuir e sul quale recentemente si è pronunciata la Suprema corte con l’ordinanza 19430 del 20 luglio scorso. La questione è delicata poiché si tratta di capire se l’agenzia delle Entrate detenga o meno il potere di sindacare l’inerenza degli interessi passivi, oppure se, come sembra evincersi dal tenore letterale della norma in questione, tale giudizio non sia possibile.
Il leverage buy out
È possibile approfondire il tema sullo sfondo di una specifica operazione nella quale la deducibilità degli interessi passivi è elemento fondamentale, nel senso che la deducibilità o meno dei medesimi muterebbe radicalmente la convenienza a eseguirla.
Si tratta della operazione di leverage buy out (Lbo), nella quale, come è noto, una società si indebita per acquistare le partecipazioni di un’altra società ( quindi sostenendo un costo significativo per interessi passivi), fornendo quale garanzia alla banca per ottenere il finanziamento le stesse partecipazioni della società in acquisizione.
L’operazione, che si conclude di regola con l’incorporazione della società target, è disciplinata dall’articolo 2501-bis del Codice civile che la ritiene legittima, ma prevede obblighi informativi maggiori rispetto alle normali fusioni.
La posizione delle Entrate
Sulla questione della deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di Lbo è intervenuta, in tempi relativamente recenti, l’agenzia delle Entrate con la circolare 6/E del 2016 esprimendo una valutazione positiva sulla inerenza, e quindi sulla deducibilità, degli interessi passivi addebitati alla cosiddetta Special Purpose Vehicle (Spv), affermando: «Si ritiene che gli interessi passivi relativi a prestiti contratti dalla Spv per l’acquisto di partecipazioni, in linea di principio, siano funzionali all’acquisizione della target company (...). In altri termini, si ritiene che, per i soggetti Ires, gli interessi passivi derivanti da operazioni di acquisizione con indebitamento debbano essere considerati, in linea di principio, inerenti e, quindi, deducibili, nei limiti di quanto previsto dal citato articolo 96».
Ciò che emerge dalla circolare è che gli interessi passivi sono deducibili in quanto giudicati inerenti, non semplicemente perché addebitati alla Spv.
Va poi segnalato che secondo l’Agenzia eventuali contestazioni potrebbero riguardare, invece, il tema dell’ abuso del diritto, contestazioni che inevitabilmente avrebbero riflesso sulla deducibilità degli interessi passivi. Nel paragrafo 2.2. della circolare si ricorda che nel passato le operazioni di Lbo venivano ritenute per lo più elusive, ma tale giudizio è mutato dopo l’introduzione del nuovo articolo 10-bis della legge 212/2000, e oggi non avrebbe più fondamento la contestazione, fatta eccezione per il caso in cui l’operazione di Lbo fosse eseguita da soggetti che già detengono la maggioranza delle partecipazioni della società target poiché in tal caso, a giudizio dell’Agenzia, l’unico motivo che indurrebbe ad eseguirla sarebbe il mero vantaggio fiscale.
Inerenza insindacabile
Ora, tornando al tema della inerenza, emerge nel documento sopra citato che la deducibilità degli interessi passivi è sempre collegata al giudizio di inerenza. Proprio questo passaggio è al centro della recente ordinanza della Corte di cassazione 19430/18 che esclude la possibilità di sindacare l’inerenza degli interessi passivi affermando che il tenore letterale dell’articolo 109, comma 5, del Tuir «indica la chiara volontà legislativa di riconoscere un trattamento differenziato per gli interessi passivi rispetto ai vari componenti negativi del reddito di impresa, nel senso che il diritto alla deducibilità va riconosciuto sempre, senza alcun giudizio sulla inerenza, purché nei limiti quantitativi riconosciuti dall’articolo 63 (oggi 96) del Tuir».
È qui che si genera un corto circuito, poiché se gli interessi passivi sono sempre inerenti in che modo la contestazione di abuso del diritto potrebbe incidere sulla fiscalità della operazione? Detto ciò, va anche sottolineato che pure nelle operazioni di acquisizione in cui la compagine della Spv sia formata da soci che già detengono la maggioranza nella società target, si potrebbero individuare valide ragioni economiche che permetterebbero di scardinare il tema dell’abuso del diritto. Basti pensare al caso frequente di conflitto tra i soci in cui anche quelli di minoranza possono costituire un ostacolo non trascurabile alla esecuzione di strategie aziendali.