Indeducibili i prelievi che eccedono il patrimonio netto
Il sistema è equilibrato nel confronto con i parametri dell’Irpef
La tesi che emerge dall’ordinanza della Cassazione 19430/18, e cioè che la deducibilità degli interessi passivi sia, per così dire, in re ipsa, quindi non condizionata da un possibile sindacato di inerenza da parte della agenzia delle Entrate, non è isolata nella pronunce della Suprema corte: basti ricordare le sentenze 21467 del 10 ottobre 2014 e 12246 del 19 maggio 2010 (solo per citare quelle più recenti) che hanno affermato il medesimo concetto.
Tuttavia non si tratta di un principio consolidato poiché, come è stato ricordato in queste pagine (si veda il Sole 24 Ore del 3 marzo 2018) vi sono altre pronunce di segno opposto che sostengono la possibilità per l’Agenzia di sindacare l’inerenza dei componenti negativi, inclusi gli interessi passivi.
Il ragionamento che presidia quest’ultima tesi è quello secondo cui, pur non essendovi per i soggetti Ires un’esplicita norma che parli di inerenza degli interessi passivi, tale principio deve intendersi comunque sussistente in quanto regola immanente che caratterizza di sé l’intero ambito del reddito d’impresa. Al contrario la tesi letterale, da cui traggono spunto le sentenze favorevoli alla deducibilità in re ipsa, enfatizza il fatto che deve esserci pur qualche motivo che spieghi il differente scenario normativo tra soggetti Ires e soggetti Irpef: infatti, mentre per i soggetti Irepf il tema dell’inerenza quale elemento necessario per la deducibilità è richiamato esplicitamente nell’articolo 61 del Tuir, tale esplicito richiamo è assente per i soggetti Ires.
Peraltro, mentre per i soggetti Irepf non vi sono regole “matematiche” per determinare il quantum deducibile dell’ammontare degli interessi passivi, per i soggetti Ires tale parametro è fissato dall’articolo 96 del Tuir in base al 30% del Rol. Quindi, sotto un certo punto di vista, il sistema è equilibrato: mentre i soggetti Ires presentano un parametro matematico che può sostituire il sindacato di inerenza, i soggetti Irpef deducono sì gli interessi passivi senza parametri, ma solo quelli inerenti.
Un esempio tipico che si può proporre in questo senso per i soggetti Irpef è la presenza di interessi passivi derivanti da prelevamenti del titolare o dei soci che eccedano il patrimonio netto disponibile al prelevamento: è chiaro che una parte di tale prelevamento risulta essere una distrazione non legittima di attività liquide da cui scaturiscono componenti negativi di reddito (appunto interessi passivi) che, sempre in parte, devono essere giudicati non inerenti e come tali indeducibili. E per quantificare la parte deducibile un utile suggerimento potrebbe consistere nel mettere in proporzione gli interessi passivi deducibili con l’entità del patrimonio legittimamente prelevabile.
Altra situazione delicata, questa volta in ambito Ires, è rappresentata dalla sussistenza di interessi passivi derivanti da finanziamenti bancari, in assenza di ricavi o incremento di rimanenze, cioè senza dimostrare di avere utilizzato la somma originata dal finanziamento, per scopi imprenditoriali: in tale situazione, pur nei limiti dell’articolo 96 del Tuir, la Suprema corte (sentenza n. 21467 del 10 ottobre 2014) ha riconosciuto la deducibilità degli interessi passivi che erano stati giudicati non deducibili dall’agenzia delle Entrate proprio in quanto risultava assente il principio di inerenza.