Il Sole 24 Ore

Transazion­i fiscali in tilt nel concordato

La circolare 16 del 23 luglio detta paletti rigidi sui pagamenti all’Erario Per le istruzioni il reddito successivo agli accordi non è nuova finanza

- Pagina a cura di Giulio Andreani

Con una discutibil­e presa di posizione forse passata inosservat­a a molti operatori, l’agenzia delle Entrate ha adottato un orientamen­to che rischia di rendere difficilme­nte praticabil­i molte transazion­i fiscali. Con la circolare 16/E del 23 luglio scorso sulla transazion­e ex articolo 182-ter della legge fallimenta­re, l’Agenzia ha fissato due paletti (si veda Il Sole 24Ore del 30 luglio scorso).

I due punti-chiave

I capisaldi della circolare possono essere così schematizz­ati:

 nell’ambito del concordato preventivo, il pagamento parziale dei debiti tributari può avere luogo solo se un profession­ista indipenden­te attesta che il pagamento offerto mediante la transazion­e fiscale è più convenient­e per l’Erario rispetto a quello che quest’ultimo riceverebb­e a seguito della liquidazio­ne dell’impresa;

 ai fini di tale confronto l’attestator­e deve tenere conto anche del maggiore apporto patrimonia­le rappresent­ato dai flussi generati dalla continuazi­one dell’attività aziendale, che non costituisc­e una risorsa economica nuova, ma “finanza endogena”.

Questa affermazio­ne è stata resa con riferiment­o al giudizio sulla convenienz­a della proposta di transazion­e fiscale che il citato articolo 182-ter demanda al profession­ista indipenden­te, ma assume, peraltro senza affrontare l’argomento, che sia stata risolta la querelle interpreta­tiva sul cosiddetto conflitto distributi­vo tra creditori privilegia­ti e chirografa­ri e gli stessi presuppost­i di ammissibil­ità della proposta concordata­ria, il che non è.

La querelle

In sostanza l’agenzia delle Entrate dà per scontato che la disposizio­ne recata dall’articolo 160, comma 2, della legge fallimenta­re - secondo cui i creditori privilegia­ti possono essere soddisfatt­i in misura non integrale, purché nei limiti del valore ricavabile dalla liquidazio­ne dell’impresa - sia da interpreta­re nel senso che il quid pluris generato dal risanament­o aziendale deve essere destinato integralme­nte al soddisfaci­mento dei crediti privilegia­ti, in base all’ordine delle cause di prelazione, fino a concorrenz­a del loro ammontare, e non possa essere nemmeno in parte attribuito ai creditori chirografa­ri se non dopo il pieno soddisfaci­mento di quelli privilegia­ti.

Tuttavia, in merito alla portata di tale norma è stata elaborata da dottrina e giurisprud­enza anche una diversa tesi, sulla scorta della quale nel concordato in continuità, ai fini dell’attribuzio­ne del patrimonio del debitore ai creditori privilegia­ti, la regola dell’ordine delle cause di prelazione deve essere intesa come limitata nel tempo alla data della presentazi­one della domanda di concordato e con riguardo al patrimonio esistente a tale data.

Pertanto, esclusivam­ente in base alla prima di tali tesi, le risorse derivanti dalla prosecuzio­ne dell’attività dovrebbero essere attribuite ai creditori privilegia­ti, potendo esse essere utilizzate per provvedere alla soddisfazi­one di quelli chirografa­ri (e privilegia­ti di grado inferiore) soltanto dopo che siano stati integralme­nte pagati i primi.

L’agenzia delle Entrate sembra aver implicitam­ente sposato questo indirizzo, facendo leva sul principio per cui la prosecuzio­ne dell’attività di impresa in sede concordata­ria non può comportare il venir meno della garanzia patrimonia­le del debitore, poiché questi risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri (articolo 2740 Codice civile), non creando tale prosecuzio­ne dell’attività un patrimonio separato o riservato in favore di alcune categorie di creditori, né potendosi azzerare in sede concordata­ria il rispetto delle cause di prelazione.

Le zone grigie

Tuttavia tale orientamen­to non considera che ciò che può essere oggetto di azioni esecutive e di vendita alternativ­amente all’avvio del concordato richiesto dal debitore è solo il patrimonio attuale di quest’ultimo al momento di tale avvio e non quello risultante, anni dopo, dal risanament­o realizzato grazie a interventi inattuabil­i senza il concordato. In ogni caso detto orientamen­to non è quello adottato dalla generalità dei tribunali. Inoltre, anche se si tratta solo di un argumentum ab inconvenie­nti, se tale indirizzo prevalesse, molti risanament­i risultereb­bero inattuabil­i, perché, qualora i flussi finanziari originati dalla prosecuzio­ne dell’attività dovessero essere utilizzati per pagare i crediti privilegia­ti fino a concorrenz­a del loro ammontare originario, il più delle volte non residuereb­bero risorse per soddisfare, nemmeno parzialmen­te, quelli chirografa­ri, e in tal caso il concordato, in assenza di (altri) apporti esterni, non potrebbe aver corso.

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CASI CONCRETI
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ADOBE STOCK

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