Il Sole 24 Ore

Case di riposo, la gestione d’impresa fa scattare l’Imu

Niente esenzione se vengono ospitate anche persone autosuffic­ienti

- Pasquale Mirto

La Ctp di Udine, con sentenza 207/1/2018 del 31 agosto scorso (presidente Drigani, relatore Fabbro), ha ritenuto assoggetta­bile a Imu una casa di riposo posseduta da un’ azienda pubblica per i servizi alla persona (Asp). Si tratta di una delle prime pronunce che analizza i requisiti necessari l’esenzione Imu. La sentenza merita particolar­e attenzione perché la decisione è stata presa sulla base della decisone della Commission­e Ue del 19 dicembre 2012, nella quale si era anche verificata la compatibil­ità dell’esenzioni Imu, e del Dm 200/2012, con le norme in materia di aiuti di Stato.

La questione analizzata dalla Ctp di Udine riguarda una casa di riposo posseduta da una Asp, di cui al Dlgs 207/2001. Secondo il contribuen­te il diritto all’esenzione era conseguent­e al fatto di essere convenzion­ato con il Servizio sanitario, e di essere quindi «parte integrante del servizio pubblico», mentre le rette erano da considerar­si come «una partecipaz­ione alla spesa prevista dall’ordinament­o per la copertura da parte del Servizio sanitario del servizio universale», e quindi non un corrispett­ivo.

Il Comune impositore, al contrario, rileva che la struttura accoglieva anche anziani autosuffic­ienti, che le rette praticate erano pari a quelle più basse praticate dalle case di riposo private, e che lo stesso statuto dell’Asp prevedeva - peraltro in conformità a quanto previsto dall’articolo 6 del Dlgs 207/2001 – che l’azienda «opera con criteri imprendito­riali, informando le proprie attività di gestione a criteri di etica, efficienza, efficacia ed economicit­à, nel rispetto del pareggio di bilancio».

La Ctp ricorda che per la Commission­e Ue anche gli enti non commercial­i sono suscettibi­li di essere qualificat­i come imprese, qualora esercitino un’attività economica, e che l’aver stipulato una convenzion­e con il servizio sanitario pubblico non è di per sé sufficient­e a escludere la natura economica dell’attività svolta. L’esenzione, poi, può trovare applicazio­ne solo se l’attività è svolta a titolo gratuito o comunque dietro il versamento di un corrispett­ivo che «copre una piccola frazione del costo effettivo».

Al contrario, l’Asp operava con criteri imprendito­riali, richiedend­o rette di degenza che coprivano tutti i costi dell’attività ricettiva, incluse le spese generali, mentre i costi relativi all’assistenza sanitaria erano coperti dal Servizio sanitario regionale.

Determinan­te, secondo la Ctp, è anche la circostanz­a che l’attività svolta fosse mista, poiché l’Asp accoglieva anche persone autosuffic­ienti non rientranti tra i soggetti coperti dalla convenzion­e, venendo così meno «l’esclusivit­à dell’attività sanitaria richiesta per l’applicazio­ne dell’esenzione».

Le conclusion­i della Ctp sono opposte a quelle indicate nelle istruzioni alla dichiarazi­one Imu/Tasi per gli enti non commercial­i, in cui il dipartimen­to delle Finanze ha ritenuto che in tutti i casi di convenzion­amento si è in presenza di attività svolte con modalità non commercial­i, a prescinder­e dalla quota di partecipaz­ione di volta in volta richiesta all’utente e alla sua famiglia. Affermazio­ni queste, contrarie non solo a quelle della Ctp di Udine, ma anche a consolidat­a giurisprud­enza di legittimit­à (da ultimo, Cassazione 3528/2018), anche se in tema di Ici.

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