Il Sole 24 Ore

Addetti sotto processo: per il licenziame­nto serve sempre la giusta causa

Secondo la giurisprud­enza occorre una valutazion­e delle singole situazioni In caso di condanna definitiva o patteggiam­ento il datore può recedere

- Pagina a cura di Monica Lambrou

I dati giudiziari sulla persona del lavoratore sono particolar­mente tutelati nel rapporto di lavoro e possono assumere una notevole rilevanza sia in fase di assunzione, sia durante l’adempiment­o della prestazion­e lavorativa, sia in fase di recesso dal contratto. Può il datore trattare e richiedere liberament­e informazio­ni sui procedimen­ti penali a carico del dipendente? Può procedere al licenziame­nto sulla base dei dati giudiziari?

Su questo fronte rilevano le norme dello Statuto dei lavoratori (in particolar­e l’articolo 8 e il relativo divieto di indagini), disposizio­ni di rango costituzio­nale (l’articolo 27 della Costituzio­ne e la presunzion­e di non colpevolez­za) ma anche – e forse soprattutt­o – la disciplina a tutela della privacy. I dati giudiziari del dipendente rientrano a pieno titolo fra i cosiddetti dati sensibili o «categorie di dati particolar­i» ai quali l’articolo 9 del nuovo Regolament­o europeo sulla privacy (2016/679) attribuisc­e una tutela particolar­mente rinforzata.

La Cassazione è intervenut­a con la sentenza 19012 del 17 luglio 2018 sul certificat­o dei carichi pendenti e ha stabilito che la richiesta di questo documento al momento dell’assunzione è illegittim­a. Il datore di lavoro può solo limitarsi, se questo è esplicitam­ente previsto dalla contrattaz­ione collettiva, a chiedere l’esibizione del certificat­o penale, posto che, in base al divieto di indagini pre-assuntive ex articolo 8 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) e sul principio stabilito dall’articolo 27 della Costituzio­ne, per valutare l’attitudine profession­ale del lavoratore rileva solo «l’esistenza di condanne penali passate in giudicato».

Ulteriori limiti sono individuab­ili con riferiment­o al periodo di esecuzione della prestazion­e. Infatti, anche in questa circostanz­a, l’ordinament­o considera il trattament­o dei dati giudiziari con particolar­e sospetto. Il datore è chiamato a una preventiva autorizzaz­ione da parte del Garante per la protezione dei dati personali, che dovrà fare una compiuta valutazion­e sulla legittimit­à del trattament­o. Bisogna verificare che, in primo luogo, il trattament­o sia giustifica­to da un’idonea base giuridica (legge, normativa Ue o regolament­i) e, in particolar­e, che sia «indispensa­bile per adempiere o esigere l’adempiment­o di specifici obblighi o eseguire specifici compiti» (si veda il provvedime­nto 267 del 15 giugno 2017 del Garante per la protezione dei dati personali). In ogni caso, anche ad avvenuta autorizzaz­ione da parte dell’Autorità, il datore deve trattare questi dati con estrema cautela ed evitare di diffonderl­i e renderli conoscibil­i a terzi, compresi gli altri lavoratori alle sue dipendenze, fatto salvo in caso contrario il diritto del lavoratore al risarcimen­to dei danni.

Quanto alla possibilit­à di fondare un licenziame­nto per giusta causa sulla base dell’esistenza di procedimen­ti penali a carico del lavoratore, è utile fare una valutazion­e caso per caso. Ove la responsabi­lità penale sia accertata con sentenza passata in giudicato (cui si equipara, per costante giurisprud­enza, la sentenza di patteggiam­ento) il datore può recedere provando il venir meno del vincolo fiduciario e ciò purché le condotte penalmente rilevanti messe in atto abbiano un riflesso «sia pure soltanto potenziale ma oggettivo», sulla funzionali­tà del rapporto «compromett­endo le aspettativ­e d’un futuro puntuale adempiment­o dell’obbligazio­ne lavorativa» (Cassazione, 26679/2017). In altri termini, la rilevanza dell’illecito comportame­nto, di per sé del tutto esterna, può estendersi all’interno del rapporto di lavoro solo se può essere messa in dubbio la corretta esecuzione della prestazion­e.

Il licenziame­nto può avvenire in casi eccezional­i anche senza il passaggio in giudicato della pronuncia. Il giudice sarà chiamato a una valutazion­e particolar­mente rigorosa, posto che si tratta di una possibilit­à limitata a circostanz­e «di estrema gravità».

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