Il Sole 24 Ore

LE PRONUNCE DEI GIUDICI

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1. Stop al certificat­o dei carichi pendenti

Anche ove la contrattaz­ione collettiva consenta la richiesta da parte del datore di lavoro del certificat­o penale dell’aspirante dipendente, questi non può richiedere l’esibizione del certificat­o dei carichi pendenti. Se può giustifica­rsi la necessità di conoscere eventuali condanne penali passate in giudicato, perché rilevanti per valutare l’attitudine profession­ale del lavoratore, ciò non vale per i procedimen­ti penali in corso, in consideraz­ione del principio costituzio­nale della presunzion­e d’innocenza. Corte di cassazione, sentenza 19012 del 17 luglio 2018

2. Non si possono diffondere i dati giudiziari del lavoratore

Ancorché il trattament­o dei dati giudiziari del lavoratore sia legittimo e sorretto dai presuppost­i di legge, il datore di lavoro non può darne diffusione e permettern­e l’acquisizio­ne da parte degli altri dipendenti. Ciò vale anche nella circostanz­a in cui la notizia sul procedimen­to penale del lavoratore sia già nota nell’ambiente di lavoro. Dall’illegittim­o trattament­o dei dati giudiziari possono emergere principalm­ente danni di natura non patrimonia­le che il lavoratore è chiamato a dimostrare, anche con l’uso di presunzion­i. Corte di cassazione, ordinanza 14242 del 4 giugno 2018

3. La condanna non definitiva non legittima il recesso

La sentenza penale di condanna del lavoratore non ancora passata in giudicato non è idonea di per sé a far venir meno la fiducia del datore di lavoro al temporaneo espletamen­to dell’incarico e, quindi, a legittimar­e un licenziame­nto per giusta causa. È fatto salvo, in ogni caso, il diritto del datore di recedere dal contratto di lavoro – anche prima del passaggio in giudicato della pronuncia – se le circostanz­e oggetto del procedimen­to penale sono di estrema gravità. Corte di cassazione, ordinanza 6937 del 20 marzo 2018

4. Il patteggiam­ento equivale alla condanna definitiva

I fatti extra-lavorativi che integrano fattispeci­e di reato possono scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazi­one del rapporto pregiudizi­evole agli scopi aziendali. In questi casi è legittimo il licenziame­nto per giusta causa, purché dalle condotte penalmente rilevanti possa mettersi in dubbio la futura correttezz­a dell’adempiment­o. Ai fini della valutazion­e del giudice, l’applicazio­ne della pena su richiesta (patteggiam­ento) è equiparabi­le sostanzial­mente alla sentenza penale di condanna passata in giudicato. Corte di cassazione, sentenza 26679 del 10 novembre 2017

5. Sono rilevanti anche i reati commessi in passato

Le condotte costituent­i reato del lavoratore possono integrare giusta causa di licenziame­nto anche se realizzate prima dell'instaurazi­one del rapporto di lavoro. Ciò purché intervenga sentenza penale di condanna irrevocabi­le nel corso dello svolgiment­o del rapporto e purché i comportame­nti messi in atto dal dipendente e penalmente rilevanti siano tali da ledere il vincolo fiduciario con il datore. Corte di cassazione, sentenza 24259 del 29 novembre 2016

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