Il Sole 24 Ore

Ora pensiamo a un «Daspo» per i dirigenti incapaci

- Massimilia­no Atelli

Mentre ancora si discute sul “Daspo” per gli imprendito­ri che corrompono, previsto dal ddl presentato pochi giorni fa dal ministro della Giustizia Bonafede, può essere utile allargare la visione ad altre situazioni in cui, per così dire, considerar­e come idonea misura di reazione ordinament­ale l’opportunit­à di uno stop nell’accesso ad incarichi superiori o più remunerati da parte del dirigente pubblico).

Il Paese non soffre infatti solo di corruzione, ma anche (per fortuna, anche a questo riguardo, in una quota minoritari­a di casi) di deficit di capacità gestoria, persino in situazioni non complesse. Si tratta di casi in cui non si pone un problema di illegalità in senso stretto, ma di efficienza, efficacia o economicit­à dell’azione amministra­tiva. Che lungi dall’essere astratte hanno oggi riflessi immediati: quando si sciupano occasioni (si pensi ai tanti fondi Ue che vanno perduti), oppure quando si subiscono perdite vere e proprie evitabili. Nel 2018, occorre domandarsi se pur sempre all’esito di un giudizio di responsabi­lità davanti alla Corte dei conti - la sentenza di condanna al risarcimen­to del danno erariale equivalent­e non possa conoscere alternativ­e. Almeno per alcune situazioni senz’altro gravi per l’effetto che producono, ma non eticamente riprovevol­i come le vicende di latrocinio in senso proprio, forse l’idea di uno stop, o quanto meno di un handicap (in termini “golfistici”), potrebbe essere oggetto di riflession­e. Ne guadagnere­bbe il sistema pubblico, per effetto di una ritrovata attenzione - da parte della dirigenza pubblica, che piaccia o non piaccia resta uno degli asset strategici dei Paesi industrial­izzati - a un tema troppo spesso oscurato da quello della corruzione, ma anche il grado di effettivit­à dell’azione giudiziari­a.

Imboccare questa strada non condurrebb­e neppure a un inedito totale. L’articolo 9, comma 5, della legge 24/2017, sulla responsabi­lità medica, prevede (ma in aggiunta al risarcimen­to) che «per i tre anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimen­to della domanda di

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