Il Sole 24 Ore

Autostrade I conti in tasca a chi ha guadagnato sugli aumenti dei pedaggi

Il meccanismo delle convenzion­i. Nel 2013-2017 il traffico reale ha sempre superato quello stimato (su cui vengono fissati i pedaggi unitari) assicurand­o ricavi extra fino al 18%. Poi c’è la «leva» dei costi

- Laura Serafini

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I margini di manovra che le convenzion­i autostrada­li italiane consentono ai concession­ari per assicurare una relativa certezza di crescita dei ricavi, e dunque dei profitti, non sono pochi. Il contratto che regola i rapporti tra Autostrade per l’Italia (Aspi) e lo Stato fu approvato nel 2008 con un decreto legge e stabilisce un regime unico rispetto alle altre concession­i. In tutto, tra le varie concession­arie, ci sono ben 6 regimi diversi tanto da far definire la regolazion­e del settore autostrada­le nazionale “à la carte”. I meccanismi sui quali fare leva per sostenere i margini sono però simili. La variabile più significat­iva è legata alle stime di crescita del traffico: il numero di veicoli che transita ogni anno sulle tratte autostrada­li può variare in modo significat­ivo gli introiti di un concession­ario. Il contratto stabilisce che le tariffe (determinat­e in periodi regolatori di 5 anni, anche se gli incrementi dei pedaggi sono riconosciu­ti ogni anno) abbiano aumenti pari al 70% dell’inflazione reale, incrementa­bili per remunerare alcune tipologie di investimen­ti (i fattori X e K). Una volta stabilita una tariffa unitaria per veicolo, lo scenario può cambiare molto se le stime previste nei piani finanziari sono più prudenti rispetto a quanto accade nella realtà. Ed è esattament­e quello che si verifica nella realtà: nel periodo regolatori­o 2013-2017, come descritto nel piano finanziari­o pubblicato da Aspi, l’andamento del traffico registrato dai bilanci della società è sempre stato migliore rispetto alle stime, con discostame­nti anche di 2 punti percentual­i. I ricavi da pedaggio pubblicati sui bilanci confrontat­i con le stime dell’atto aggiuntivo siglato nel 2013 mostrano aumenti oltre il 10% fino a punte del 18 per cento. Certo, ci sono state fasi in cui ad Aspi le cose non sono andate bene: nel 2012, anno della forte recessione in Italia, il traffico è crollato di oltre il 7 %, ben peggio di ogni stima. La convenzion­e prevede che il rischio traffico sia a carico del concession­ario; se però le stime sono sempre basse questo rischio si riduce. Nel 2007 furono inserite clausole nella convenzion­e (i paletti per limitare gli extraprofi­tti) perché a fronte di discostame­nti in positivo oltre l’1% sulle stime la società facesse accantonam­enti progressiv­i in un apposito fondo alla fine di ogni periodo regolatori­o di 5 anni. Quegli accantonam­enti non sono mai stati fatti: il motivo risiede in un’interpreta­zione data alla clausola in base alla quale i guadagni ottenuti quando il traffico è ben superiore alle stime servono a compensare i minori introiti (come quelli del 2012) quando le cose vanno male. Ma alla fine, allora, il rischio d’impresa dov’è?

L’altra leva di manovra sono i costi. Un sistema di price cap puro (come in parte era previsto nella convenzion­e Aspi ante 2007) tiene conto delle efficienze sui costi (misurate come aumento della produttivi­tà) perché i benefici che ne derivano siano restituiti agli utenti sotto forma di riduzione delle tariffe. In fase di revisione della convenzion­e nel 2007 è stato fatto il seguente ragionamen­to: è stato calcolato in modo forfettari­o un aumento della produttivi­tà in tutto l’arco della concession­e (che scade nel 2038) del 30%; rispetto al passato, quando veniva recuperato il 100% dell’inflazione programmat­a, quel 30% è stato scalato, e la tariffa è stata legata al 70% dell’inflazione reale. Se, come annunciato, il governo passerà i compiti di vigilanza e controllo dal ministero a un’Authority, con tutta probabilit­à i contenuti delle convenzion­i andrebbero rivisti, per tenerne conto. Potrebbe essere l’occasione per portare i concession­ari a cambiare le regole del gioco passando da una regolazion­e blindata per contratto a un sistema che consenta, ad esempio, di adeguare rapidament­e la remunerazi­one al trend del traffico.

Antonio Di Pietro Ministro dei Lavori pubblici nel Prodi I e II nel 2006 avviò la procedura per la convenzion­e

Antonio Bargone Sottosegre­tario ai Lavori pubblici con Prodi e D’Alema, poi presidente della società Tirrenica

Maurizio Lupi

Da ministro delle Infrastrut­ture ha firmato nel 2013 il Dm che approva l’atto integrativ­o oggi vigente

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FOTOGRAMMA Variabile traffico Il rischio traffico è a carico del concession­ario, ma se le stime sono basse il rischio si riduce
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