I big della telefonia mobile in allarme sulle tariffe regolate
Gli uffici Agcom hanno predisposto un ribasso dei costi di terminazione Attesa per la decisione sollecitata dalla Ue: i piccoli operatori favorevoli ai tagli
Non bastava la guerra dei prezzi con offerte sempre più stracciate per strapparsi clientela (si veda Il Sole 24 Ore del 18 settembre). Non bastava l’asta 5G che anche ieri ha fatto segnare un altro passo in avanti con introiti per lo Stato (e quindi esborsi delle compagnie telefoniche) già assicurati per 3,84 miliardi di euro (la previsione in legge di bilancio era di 2,5 miliardi).
A mettere ulteriormente sotto pressione il sistema nervoso delle telco c’è anche un altro tema, arrivato al dunque e che, dicono gli operatori maggiori (quelli più piccoli, vale a dire gli Mvno senza rete propria, e anche Iliad, operativa da fine maggio, sono di opinione differente), finirà per abbassare i loro fatturati e quindi il mercato nel suo complesso: la decisione sulle tariffe di terminazione mobile per il 2018-2021.
Il tema è tecnico e se ne sta discutendo in Agcom, ma si può riassumere in questo assioma: valori inferiori rendono la torta (del mercato) più piccola. Il nodo del contendere è il “pedaggio”, regolato dall’Autorità, che un operatore deve pagare all’altro per far terminare le chiamate sulla rete mobile dei concorrenti. Pedaggi che hanno significato flussi economici importanti per le telco in passato. Oggi questo mercato – inteso come somma dei fatturati delle varie compagnie conseguiti facendosi pagare per il pedaggio sulla propria rete mobile – si aggira sugli 850 milioni.
È chiaro che si tratta di una partita di giro perché quella voce rappresenta, per un medesimo operatore, un costo oltre che un ricavo. Ma le compagnie maggiori sono in allarme per un abbassamento delle tariffe che andrebbe a impattare sul fatturato complessivo. Dall’altra parte della barricata ci sono invece i piccoli che, avendo un numero di clienti inferiori, sono più portati a pagare che a ricevere per il traffico. Per loro l’abbassamento – se non proprio l’annullamento – sarebbe l’optimum.
Della riduzione di queste tariffe si sta ora discutendo in Agcom, con una decisione attesa nella riunione del Consiglio della settimana prossima. Il tutto a conclusione di un iter partito il 5 dicembre 2017 con la consultazione pubblica avviata con la delibera 481/17/CONS. Le risposte degli operatori sono arrivate a marzo 2018. Va detto che per il 2014-2017 il valore di terminazione è stato di 0,98 centesimi per tutto il periodo. Nella prima versione Agcom per il 2018-2021 aveva invece previsto un décalage (0,98 centesimi di euro al minuto nel 2018; 0,95 nel 2019; 0,92 nel 2020; 0,89 nel 2017). Già con qualche mugugno, ma gli operatori maggiori se l’erano fatta andare bene. Il 27 aprile però arriva il parere dell’Antitrust. E a metà luglio del 2018 con gli uffici della Dg Connect dell’Unione europea si tiene una sorta di call conference (“prenotification meeting”). Da entrambe le interlocuzioni emerge la necessità di abbassare le tariffe rispetto a quanto previsto da Agcom, un po’ per la considerazione che in Ue si ha delle tariffe italiane in confronto con gli altri Paesi, un po’ perché tariffe di terminazione alte sono sempre state viste, in particolare a Bruxelles, come un ostacolo alla concorrenza e all’entrata di nuovi soggetti. Chiaro che se Agcom decidesse di andare dritta non abbassando le tariffe dovrebbe poi magari vedersela con Bruxelles.
Gli uffici dell’Agcom hanno dunque presentato al Consiglio di martedì un documento con nuove tariffe, ancora più basse. Da qui la preoccupazione che serpeggia fra gli operatori maggiori: quel fatturato in più, pur senza margini, fa molto comodo.