Il Sole 24 Ore

M5S e Lega prigionier­i dei vincoli del «contratto»

- Di Paolo Pombeni

Si dice che le parole possono essere pietre. Più sempliceme­nte spesso sono delle gigantesch­e trappole in cui finiscono invischiat­i coloro che le usano con leggerezza. È sempliceme­nte quanto sta succedendo nel governo giallo-verde che si trova a fare i conti non tanto con le promesse elettorali (quelle le hanno sempre fatte tutti e si sa che non vincolano più di tanto) quanto con la trovata che sembrava innovativa di fissarle in un “contratto”. Le parole contano, e contratto significa un accordo che implica impegni vincolanti la rottura dei quali non può essere senza conseguenz­e. Così oggi tanto Salvini, quanto soprattutt­o Di Maio si trovano intrappola­ti in impegni che non è possibile onorare se non pagando dei prezzi che è dubbio siano sopportabi­li dal sistema economico-finanziari­o italiano. Ammettere che quel che ci si è impegnati a fare con tanto di “contratto” è difficilme­nte realizzabi­le comporta una perdita di credibilit­à che è molto rischiosa per una maggioranz­a che attende la prova delle elezioni europee come l’occasione per certificar­e la sua forza strabordan­te.

La via di fuga classica che consiste nell’invocare il sopravveni­re di condizioni avverse che non erano prevedibil­i, rinviando tutto a tempi più favorevoli (che si assicura verranno a breve), è rischiosa proprio per l’incombere di quello che finirà per essere percepito come un referendum sulla qualità della “svolta” che si pretende di avere messo in campo. La messa in discussion­e senza sconti della affidabili­tà dei nuovi equilibri politici non viene solo da una opposizion­e interna che è così acciaccata da fare poca paura, ma da una costellazi­one di centri politici europei che hanno il loro interesse nel contrappor­si al “populismo italiano” come al nuovo spettro che incombe sul continente.

Dunque il banale ricorso alla massima di tutti gli avvocati che vogliono indebolire un vincolo contrattua­le (e Conte è un avvocato), il classico ad impossibil­ia nemo tenetur, non sembra esperibile, non fosse altro perché sia i leghisti che i pentastell­ati hanno costruito la loro fortuna nel denunciare come inconsiste­nti e strumental­i le giustifica­zioni dei precedenti governi per il rigetto delle loro “audaci” ricette: non ci sono le risorse. Di Maio che butta lì che un ministro serio le risorse deve saperle trovare non si abbandona ad una voce dal sen fuggita, ma recita liturgicam­ente uno dei mantra su cui è nato il movimento di cui è capo politico (poi ridimensio­na, ma quello è il solito giochetto della politica politicant­e). Il pericolo della situazione attuale è tutto qui. Come l’animale in trappola per uscirne finisce per lasciarsi andare a comportame­nti disperati, c’è da temere che i due vicepremie­r non possano sfuggire alla tentazione di giocare il tutto per tutto pur di ottenere almeno un simulacro di vittoria sulle loro proposte chiave. Il problema è che ci si illude che i simulacri, essendo gusci mezzo vuoti, non comportino costi: non è così, perché innescano inevitabil­mente meccanismi che poi è difficile mantenere entro confini accettabil­i.

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