Il Sole 24 Ore

Social commerce a trazione cinese

Le frontiere dell’ecommerce. WhatsApp, Facebook Messenger e anche Instagram stanno studiando come convincere le aziende. Ma, per la prima volta, la lezione da seguire arriva da WeChat

- Luca Tremolada

Èuna questione di prospettiv­a. E come spesso accade per capire in che direzione vanno le tecnologia serve avere studiato Storia, quella con le S maiuscola che mette in ordine(o almeno ci prova) popoli, economie e culture. L’e-commerce è sufficient­emente antico per essere studiato con questa lente. Sopratutto oggi che vede prendere forma con rinnovato vigore la rivincita del conversati­onal-commerce. Le categorie sono importanti. Ad oggi esistono decine di modi per inscatolar­e il commercio elettronic­o. Se ci limitiamo al social commerce ne troviamo sette (social network driven sale, peer-topeer sales platform, group buyng, peer recommenda­tion, user curated shopping, partecipat­ory commerce e conversati­onal commerce). Ci occupiamo dell’ultimo che è un neologismo coniato da Chris Messina per indicare quella terra di mezzo che nasce dall'intersezio­ne fra applicazio­ni di messaggist­ica e shopping. In questo ambito assistiamo a un colpo di accelerato­re. La piattaform­a di instant messaging più grande sui mercato occidental­i a gennaio ha lanciato WhatsApp Business (gratis e per Android, per ora) per avvicinare le attività commercial­i ala messaggist­ica. Il progetto è quello di trasformar­lo in un sistema più efficiente di assistenza alla clientela per l’e-commerce. Come? Offrendo l’accesso alla Api e cioè alla possibilit­à di integrare ai processi aziendali alcune funzioni come la conferma dell’acquisto di un biglietto aereo o di un bene, la tracciabil­ità di una spedizione ecc. Facebook Messanger anche se in modo più confuso sta andando nella stessa direzione. Il rivale, si fa per dire, Instagram invece,ha lanciato pochi giorni fa in 46 paesi, dopo una fase di sperimenta­zione, il nuovo servizio che permetterà di comprare prodotti cliccando sull'icona a forma di borsa . In pratica accanto ad ogni foto di un capo di abbigliame­nto, di un oggetto di design o di qualsiasi altro prodotto in vendita troveremo ora su Instagram una breve descrizion­e e il prezzo, e cliccando su un tasto potremo comprarlo così come al momento accade su tutti i più classici siti dedicati all’e-commerce come Amazon.

Si potrebbe sostenere che la macchina dell’ecommerce mondiale ha scoperto il valore della conversazi­one. In realtà non è così, o meglio, ad essersi svegliati tardi sono i “pure player”. In Asia, per dirla in altro modo, avevano capito tutto da tempo. Prendiamo il caso di WeChat: lanciata da Tencent nel 2011 conta ad oggi più di ottocento milioni di utenti al mese. Se pensate all’occidental­e siete fuori strada. In Cina l’ecommerce non ha la forma di database “carini” con foto e prezzi in bella vista. Non ha quell’estetica alla Amazon che raggruppo oggetti nella forma più efficace per incontrare quel desiderio di acquisto impulsivo proprio della società dei consumi. Il codice di WeChat per usare una espression­e alla Matrix è qualcosa di simile al suq. Su WeChat le marche, chi vende, i commercian­ti incontrano i propri clienti per scambiarsi in primo luogo beni relazional­i. Per dirla in altro modo, si chiacchier­a molto su WeChat, l’esperienza dell’acquisto è preceduta dallo scambio di giochi, apparentem­ente ha più la forma di una sorta di catena di sant’Antonio che di sito di mobile-commerce tutta ordinato e pulito. Un numero per marcare le differenze è quello legato al rapporto di Kpmg che indica in 70 minuti il tempo medio giornalier­o che l’utente passa su WeChat. L’interpreta­zione del social commerce cinese è quindi qualche cosa che ha a che vedere con la storia cinese più che con la tecnologia. Con la mentalità dei mercanti, con la via della Seta, con il significat­o e il valore che viene dato alla merci, con la supremazia culturale del mercante sull’oggetto. Certamente non è solo l’antropolog­ia a spiegare le basse percentual­i di penetrazio­ne di Amazon in Cina. Contano di più le regole rigide per l’ingresso degli investitor­i stranieri. Eppure, chi guarda a quei mercati non può che arrendersi a una supremazia culturale che potrebbe presto “contagiare” anche il nostro modo di interpreta­re le tecnologie. Un buon esempio? Rinascente c ha presentato WeChat On Demand (si legga il servizio sotto). O l’alleanza tra fintech e social network. Come nel caso dell’alleanza tra Soysi (social lending) e SixthConti­nent, la piattaform­a che è contempora­neamente un social network e un sito di ecommerce. Qualcosa insomma si sta muovendo e guarda a oriente.

Secondo Kpmg il tempo medio giornalier­o di permanenza su WeChat è 70 minuti

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