Crisi e inflazione, la Turchia dimezza le stime di crescita
Stop ai grandi progetti infrastrutturali, perplessi gli investitori esteri La lira ancora debole in attesa di dettagli sugli aiuti alle banche
Troppo ambizioso, poco dettagliato, insufficiente per affrontare con efficacia l’attuale crisi economico-finanziaria. Se non è stata una bocciatura, poco ci manca. Il piano del Governo turco (che ha dimezzato le stime di crescita e fermato i grandi progetti infrastrutturali) per contrastare la crisi non sembra aver convinto i mercati internazionali. E la lira è sotto pressione in attesa di dettali circa gli aiuti alle banche.
Troppo ambizioso, poco dettagliato, insufficiente per affrontare con efficacia l’attuale crisi economico-finanziaria. Se non è stata una bocciatura, poco ci manca. Il piano del Governo turco per contrastare la crisi, annunciato ieri mattina, non sembra aver convinto i mercati internazionali.
Da settimane il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ed il neo-ministro delle Finanze, il suo genero, Berat Albayrak, ripetevano che la loro nuova strategia avrebbe fatto la differenza, risolvendo i maggiori problemi finanziari che stanno mettendo a dura prova il settore privato, banche comprese.
Ma la sensazione è che si sia trattato dell’ennesima occasione mancata. Se poco prima dell’annuncio, la lira turca (che da inizio anno ha già perso il 40% sul dollaro americano) aveva guadagnato terreno (circa il 2%), una volta reso noto il piano, ha ripreso a scendere, cadendo verso mezzogiorno ad un cambio di 6,3 lire sul dollaro.
Cosa ha provocato una simile reazione? Le ragioni sono diverse. Le nuove stime sulla crescita economica per i prossimi anni, per quanto sensibilmente corrette al ribasso, sono state giudicate troppo ottimiste. È stato lo stesso nuovo ministro delle Finanze a renderle note: il Pil dovrebbe salire del 3,8% quest’anno e del 2,3% nel prossimo. Un bel taglio rispetto al 5,5% stimato fino a poco fa (sia per il 2018 che per il 2019) ma ritenuto poco realistico. A deludere gli investitori è stato il prudente taglio degli investimenti governativi (circa 5 miliardi di dollari) e soprattutto la mancata comunicazione di un piano dettagliato per venire in soccorso al settore bancario, in sofferenza da diversi mesi. Troppo generica la rassicurazione di Albayrak, quando ha parlato di prossime misure che «contribuiranno a rafforzare il settore bancario e aiuteranno l’economia reale ad avere un accesso al credito più agevole, e nel contempo creearanno le condizioni per una ristrutturazione del credito, se necessaria». «Fare di tutto perché le banche continuino a finanziare il business è una delle priorità», ha poi precisato il ministro. Senza aggiungere altro. E senza mezionare la creazione di una bad bank, idea che si auguravano diversi investitori per scongiurare la mina dei non-perfoming loans (Npl), le sofferenze sui prestiti concessi, emersa prepotentemente negli ultimi mesi.
«Diverse aziende private turche si trovano in grandi difficoltà. Il totale dei loro debiti in valuta pregiata in scadenza nei prossimi 6-9 mesi ammonta a 150 miliardi di dollari» ha spiegato al Sole 24 Ore Aniello Musella, direttore dell’Ice di Istanbul». Se ci sarà un roll over, dunque, non sarà certo indolore. Ed il Governo può fare ben poco ora per soccorrere le imprese. «Il Governo ha un grande bisogno di flussi di capitale in valuta pregiata per finanziare il deficit delle partite correnti. Gli ultimi dati lo danno a 57 miliardi di dollari, sopra il 6 per cento», continua Musella.
Un quadro cupo, che continua ad allontanare la fiducia degli investitori e dei mercati internazionali. L’effetto del robusto rialzo dei tassi di interesse (dal 17,75 al 24%) deciso dalla Banca centrale la scorsa settimana, (la lira aveva guadagnato il 5% sul dollaro) è stato vanificato quasi del tutto. La sensazione è che saranno necessari ulteriori rialzi. Accompagnati da riforme dolorose capaci di frenare l’inflazione, ai massimi dal 2003. Per i mercati la maggiore preoccupazione resta proprio l’inflazione. E le nuove stime di ieri non sono incoraggianti: nel 2018 salirà al 20,8%,per poi scendere al 15,9% nel 2019. Non è dunque più tempo per avventurarsi in quei faraonici progetti infrastrutturali annunciati con enfasi dal presidente Erdogan. Lo stesso ministro delle Finanze lo ha precisato: «Alcuni dei grandi progetti che non sono ancora stati messi a gara saranno sospesi. Gli altri saranno realizzati con finanziamenti internazionali». Addio raddoppiamento del Bosforo. I soldi, per ora, non ci sono più.