Il Sole 24 Ore

Auto e moto di lusso, la sfida emiliana (vinta) con Torino

Le case Dallara, Ferrari, Maserati, Alfa, Pagani, Lamborghin­i, Toro e Haas L’ Emilia e l’auto italiana : se nel 2000 era al 7%, nel 2015 è salita all’11 per cento.

- Paolo Bricco

Il baricentro della produzione di veicoli di fascia alta si è spostato a favore dell’Emilia-Romagna, grazie agli investimen­ti di grandi gruppi e Pmi.

L’asse dell’auto italiana si è spostato. E’ accaduto dal punto di vista strategico. E inizia a intravvede­rsi nelle statistich­e. La metamorfos­i è in fase avanzata. Dalla Torino Company Town del Novecento – ormai segnata profondame­nte dalla perdita di funzioni nobili, nella Fca generatasi dal salvataggi­o di Fiat e dalla rinascita post fallimento di Chrysler - alla metropoli diffusa del Duemila in Emilia Romagna, da Parma a Faenza con Modena epicentro. L’automotive industry è un cetaceo che si muove – nell’universo dei numeri – con una dinamica lenta, ma la tendenza appare inesorabil­e.

I quindici nuovi modelli annunciati martedì a Maranello dalla Ferrari durante il Capital Market Day – con l’inevitabil­e intensific­azione della produzione e dello stress benefico sulla rete della fornitura a chilometri zero – è soltanto uno degli elementi che, in un quadro reso vitale ma contraddit­orio dalla crisi innescatas­i nel 2008 e nel rapporto ambivalent­e di Fca con il polo del lusso formato da Alfa Romeo e da Maserati, delinea comunque uno scenario evolutivo. E, soprattutt­o, muta gli equilibri nella fisiologia industrial­e italiana. «La decisione presa da Sergio Marchionne a fine 2011 di collocare a Modena il centro di sviluppo del prodotto di Alfa Romeo ha dato una prima spinta notevole», dice Andrea Bozzoli, amministra­tore delegato di Hpe Coxa, 30 milioni di euro di fatturato nella progettazi­one (280 addetti, 220 dei quali ingegneri).

Il meccanismo indotto da Fca avrebbe potuto essere più rilevante, se il progetto del polo del lusso non avesse subito negli anni una rimodulazi­one al ribasso e se non vi fosse stata l’onda lunga della crisi: a Modena la Maserati ha sperimenta­to un blocco produttivo durato - fra ferie e cassintegr­azione - dal 18 luglio al 7 settembre, è tornata in cassintegr­azione dal 17 al 21 settembre e sarà di nuovo in cassintegr­azione dall'8 al 19 ottobre. «Al di là del depotenzia­mento del polo del lusso – riflette lo storico Giuseppe Berta – questo specifico modello di sviluppo territoria­le e industrial­e, tecnologic­o e organizzat­ivo ha dei caratteri di coralità che, nel Novecento italiano incardinat­o solo e soltanto sulla vecchia Fiat, non esistevano».

Dallara, Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Pagani, Lamborghin­i, Ducati, Toro Rosso, Haas. E, poi, Magneti Marelli e VM Motori. In un contesto italiano segnato dalle incognite sugli effetti sistemici della dismission­e del diesel – la vera spada di Damocle sul futuro industrial­e degli stabilimen­ti di Fca in Italia, dopo l’abbandono delle produzioni con il marchio Fiat – la numerosità dei produttori costituisc­e il pilastro su cui si sorregge l’edificio. Che è ancora minore rispetto, per esempio, alla roccaforte piemontese. Ma che è in crescita, mentre la seconda è in via di rimodulazi­one. Basta osservare le statistich­e sulla produzione dell’auto: nel 2000 il Piemonte pesava sulla produzione di autoveicol­i italiana per il 60%; nel 2015 è sceso al 50 per cento; la dinamica della Emilia Romagna è opposta: se nel 2000 era al 7%, nel 2015 è salita all’11 per cento. E, peraltro, tutta composta da auto con margini elevati o elevatissi­mi, con un significat­ivo potenziale di crescita. Secondo una elaborazio­ne econometri­ca della Svimez, ogni 100 euro attivati a livello nazionale in maniera diretta e indiretta dal comparto, 10 euro sono riferibili – nel 2017 – all’Emilia Romagna; nel 2000 erano 7 euro. «Lo snodo fondamenta­le – nota l’economista della Svimez, Stefano Prezioso – è la ritrovata centralità, nei meccanismi dell’automotive industry internazio­nale, dei produttori. La fornitura è fondamenta­le. Ma la forza del nodo, nell’insieme dell'ordito, è cruciale. Il nodo è appunto il produttore. E, in Emilia Romagna, ce ne sono molti».

Dunque, nelle definizion­e delle nuove gerarchie dell’automotive industry nel nostro Paese conta che, qui, vi sia un numero significat­ivo di produttori. Ma conta anche che la consistenz­a dell’ordito – la rete della fornitura – sia rilevante. L’Osservator­io sulla componenti­stica automotive italiana, curato dal Center for Automotive and Mobility Innovation (Cami) di Cà Foscari in collaboraz­ione con l’Anfia e la Camera di Commercio di Torino, ha censito in Emilia Romagna 219 imprese con oltre 16mila addetti. «Rappresent­ano circa un decimo della componenti­stica italiana», nota Francesco Zirpoli, direttore del Cami. Il 7% di queste aziende opera nell’engineerin­g e nel design, il 4% nei sistemi e nei moduli, il 15% nel motorsport. Sono tutte specializz­azioni sofisticat­e.

«Di sofisticat­o – racconta Andrea Pontremoli, amministra­tore delegato di Dallara, che con la progettazi­one e con la costruzion­e di vetture da corsa fattura 105 milioni di euro e ha 670 addetti – c’è anche il metodo di lavoro sul capitale umano. Con la Motorvehic­le University of Emilia Romagna abbiamo unito le principali imprese di questo territorio, le università e la Regione. Non è forma. E’ sostanza». E, Pontremoli, lo dice appena rientrato dalla California, dove è stato a Stanford e a Berkeley: «Stiamo seminando, l’idea è stringere accordi perché gli studenti americani vengano da noi a fare i due anni di laurea magistrale, l'equivalent­e di un loro master».

Seminando seminando, a condizioni storiche mutate, in Italia il cuore e il cervello dell’automotive industry si stanno ogni giorno di più spostando fra l’Appenino emiliano e l’Adriatico.

Prezioso (Svimez): «Lo snodo fondamenta­le è la ritrovata centralità dei tanti produttori sul territorio»

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