Confronto sui diamanti in laboratorio
La produzione mondiale di diamanti raggiungerà il suo picco nel 2019, per poi calare stabilmente, di una quota compresa fra l’1 e il 2% ogni anno: a sostenerlo è il gigante De Beers, proprio quello che a maggio ha scosso l’industria delle gemme annunciando il lancio di una produzione di diamanti fatti in laboratorio e della linea di gioielli Lightbox, che metterà in vendita proprio entro questo mese.
Mentre alcune miniere storiche sono in via di esaurimento, come la Argyle di Rio Tinto in Australia che dovrebbe fermarsi nel 2020, e di fronte a molte incertezze, politiche e geologiche, su nuove zone da esplorare e scavare, i produttori di diamanti di laboratorio si stanno moltiplicando. Secondo Nimesh Patel, cfo di De Beers, i diamanti sintetici oggi costituiscono il 3-4% del mercato totale, in lenta ma costante crescita, per una produzione approssimativa di 150 milioni di carati, nell’ambito di un giro d’affari globale della diamond jewelery che nel 2017 è valso 82 miliardi di dollari.
In luglio, per esempio, in Giappone è stata lanciata Pure Diamond, prima azienda produttrice di diamanti del Paese, che si è dotata anche di una criptovaluta per finanziare la ricerca e sviluppo e della tecnologia blockchain per certificare l’origine artificiale delle sue gemme. L’ex presidente del gigante minerario russo Alrosa, Andrey Zharkov, ha di recente fondato Ultra C, con sede in Svizzera, che produce anche diamanti artificiali. Si tratta di un’industria ad alto tasso di tecnologia, quasi nativa digitale, e che soprattutto non sbanca milioni di tonnellate di roccia per estrarre qualche carato: tutte caratteristiche attraenti per le generazioni chiave per il futuro del lusso, i Millennials e la Gen Z, accomunati dall’attenzione per la sostenibilità ambientale e la trasparenza. A loro, sostiene sempre De Beers nel suo ultimo “Diamond Insight Report”, non interessa che le gemme siano o meno frutti della terra. E un diamante non dev’essere necessariamente “per sempre”, il claim che proprio De Beers aveva inventato nel 1947.
Eppure, c’è chi a questa tendenza si oppone: Chow Tai Fook, il gigante di Hong Kong da 6,5 miliardi di euro di fatturato e primo marchio di gioielli cinese, ha appena reso noto che non venderà pietre sintetiche poiché «i consumatori cinesi non sono interessati a questa categoria». Al contrario, il marchio Monologue, pensato proprio per la Generazione Z, avrebbe registrato un aumento delle vendite proprio dopo il lancio di una linea di gioielli con diamanti naturali. La partita miniere contro laboratori sembra ancora lunga da giocare.
PICCO
La produzione di diamanti raggiungerà il suo massimo per poi calare dell’1-2% ogni anno con regolarità