Più fondi alle piccole università
Al via le nuove regole Per Salerno e Catanzaro la «dote» sale del 4% sul 2017
È la rivincita dei piccoli atenei, al Sud e non solo. Dopo anni in cui le università del Nord conquistavano più finanziamenti in base anche a performance migliori, il Governo imprime una svolta e premia con maggiori risorse quelle università, spesso più piccole e specie nel Mezzogiorno, che hanno sofferto di più l’emorragia di studenti e i tagli dei finanziamenti pubblici. L’effetto perequativo tra gli atenei è il frutto di due decreti del Miur. L’obiettivo è garantire più fondi alle università dove gli studenti hanno redditi in media più bassi o più difficoltà a raggiungere le aule. Risultato: Salerno, Catanzaro, Tuscia Viterbo ma anche Bergamo e Piemonte orientale aumentano i fondi a disposizione di quasi il 4% sul 2017.
È la rivincita dei piccoli atenei, al Sud e non solo. Dopo anni in cui le università del Nord conquistavano più finanziamenti in base anche a performance migliori, il Governo ha deciso di correre ai ripari e far rifiatare con più risorse quelle università, spesso più piccole e specie nel Meridione, che hanno sofferto di più l’emorragia di studenti e i tagli dei finanziamenti pubblici. Come? Assicurando più fondi gli atenei dove gli studenti hanno redditi in media più bassi o hanno più difficoltà a raggiungere, a causa di trasporti meno efficienti e difficoltà logistiche, le aule dove seguire le lezioni. L’effetto ”perequativo” è che tra le università che quest’anno vedranno crescere di più la dote a disposizione ci sono atenei come Salerno, Catanzaro, Tuscia Viterbo che insieme a Bergamo e Piemonte orientale aumentano i fondi a disposizione di quasi il 4% rispetto al 2017. Al contrario perdono risorse, a fianco ad alcuni atenei del Sud come Messina e Reggio Calabria (-1,25% e -1,18%) mega-università come Bologna, Genova, la Sapienza di Roma che insieme alle altre due romane -Tor Vergata e Roma Tre - perde circa l’1% dei fondi. Anche due eccellenze come il Politecnico di Milano e Torino, che in passato ogni anno accumulavano segni più, quest’anno si vedono ridurre la dote disponibile (poco sotto l’1%).
I due decreti del Miur
I risultati di questo cambio di rotta si vedono nei due decreti che il Miur, guidato dal ministro Marco Bussetti, sta per licenziare dopo la registrazione della Corte dei conti. Un segnale importante per il mondo accademico da parte del nuovo ministro dopo i primi interventi sulla scuola. «Novità - spiega Bussetti - che mettono al centro gli studenti, la loro possibilità di accesso ai percorsi universitari anche in contesti economicamente svantaggiati e dove i collegamenti con le realtà accademiche sono più difficili».
Il primo decreto introduce questi due nuovi “criteri perequativi” ridisegnando l’identikit del costo standard, il criterio introdotto nel 2014 per sostituire gradualmente la spesa storica con un parametro oggettivo basato sul prezzo giusto delle attività universitarie calcolato in base al numero di studenti e professori. Il secondo decreto è quello che divide i 7,3 miliardi del Fondo di finanziamento ordinario alle università per il 2018 che accoglie queste due novità che si fanno sentire in favore dei piccoli atenei e riducendo le perdite del passato di molte università meridionali.
Come cambia il costo standard
Il mondo universitario è tra le Pa più all’avanguardia nell’uso del costo standard che quest’anno viene utilizzato per dividere tra gli atenei 1,380 miliardi (il 22%, salirà al 24% e al 26% da qui al 2020) e che assegna i fondi moltiplicando il suo valore per il numero degli studenti (compresi i fuori corso di un anno). Quest’anno in termini percentuali il maggior incremento di costo standard per studente - che significa teoricamente più fondi - lo registrano, nell’ordine, l’università della Basilicata (+ 28,3%), Reggio Calabria (+26,8%), Cassino (+26,3%), Sannio Benevento (+24.4%), Molise (+ 24.2%), Teramo (+21.6%), Macerata (+20.6%), Tuscia (+19.5%), Salento (+18.8%) e Sassari (+18,5%). In sostanza queste università - tutte del centro-Sud e in buona parte piccole - sono quelle che hanno beneficiato di più dei due importi perequativi appena introdotti e frutto di un lavoro dei tecnici del Miur insieme all’Istat. E che graduano il costo standard in base al reddito medio familiare della Regione dove ha sede l'università e alla capacità contributiva effettiva degli iscritti, tenendo conto anche della rete dei trasporti e dei collegamenti in modo da compensare le università più difficili da raggiungere. L’aumento però in alcuni casi può rilevarsi solo teorico perché se diminuisce notevolmente il numero degli studenti iscritti - come accaduto in diversi atenei del Sud - alla fine si riducono lo stesso le risorse, anche se meno rispetto al passato. È il caso dell’università della Basilicata che vede esplodere il peso del suo costo standard ma perde comunque rispetto all’anno scorso lo 0,3 per cento.
La divisione degli altri fondi
Come detto il costo standard per quest’anno divide 1,380 miliardi a cui si aggiunge la parte di Fondo distribuita ancora secondo la spesa storica (2,949 miliardi euro). La quota premiale che si basa soprattutto sulle performance scientifiche - calcolate dall’Anvur - e sulla valutazione delle politiche di reclutamento pesa per altri 1,693 miliardi di euro. Ed è questa voce che fa recuperare fondi a molti atenei del Centro Nord e a quelli più grandi. Tra questi a esempio dopo Padova che ottiene l'incremento percentuale maggiore rispetto al 2017 (+1,97%), troviamo Napoli Federico II (+1.35%), Pisa (+1.30%), Torino (+0.30%) e Milano (+0.19%).