Crisis management, così in tre anni Volkswagen ha spento il dieselgate
Dalla comunicazione interna all’utilizzo dei social, dagli speech dei vertici alla pubblicità: ecco come il gruppo tedesco ha archiviato la più grande crisi d’immagine tornando il numero uno
Martedì 6 ottobre 2015. A 15 giorni dallo scoppio dello scandalo sulle emissioni truccate dei motori Volkswagen, il ceo Matthias Müller incontra i 20mila dipendenti del marchio per disegnare il dopo-dieselgate. «Sarò molto chiaro, non sarà indolore. Farò di tutto per salvaguardare i vostri posti di lavoro». Poi il tono si fa cupo Müller pronuncia la frase con cui l’azienda tocca il punto più basso e da cui deve provare a ripartire: «Stiamo rivedendo tutti gli investimenti pianificati. Tutto ciò che non è di vitale importanza, sarà tagliato o rimandato». Con l’espressione «di vitale importanza», l’ex numero uno di Porsche chiamato a guidare l’azienda dopo lo scandalo, confessa che il dieselgate mette a rischio addirittura la sopravvivenza del colosso di Wolfsburg. Dallo scoppio dello scandalo sono passati solo 15 giorni. Volkswagen, che pochi mesi prima ha compiuto un sorpasso storico su Toyota, conquistando la vetta della classifica mondiale dei produttori di automobili, rischia il fallimento per ammissione del suo amministratore delegato. Matthias Müller era sinceramente disorientato o stava già parlando secondo un piano scritto a tavolino dagli esperti di comunicazione che stavano gestendo la crisi del gruppo? Entrambe le cose.
Sbandata controllata sui social
Partiamo dalla coda. Il 17 settembre 2018, con un giorno di anticipo rispetto al terzo anniversario del dieselgate (18 settembre 2015) Volkswagen manda in pensione per sempre il Maggiolino, fissando la fine della produzione a luglio 2019. Obiettivo dichiarato è snellire la gamma di prodotti per concentrarsi sulle nuove esigenze dei consumatori. L’ultimo tassello, in ordine di tempo, del grande mosaico disegnato per il rilancio dopo lo scandalo dieselgate, che ha portato alla nascita di nuovi marchi e alla (ri)scoperta di un’anima elettrica per tutto il Gruppo (si veda l’articolo in basso). Tassello che dimostra che Müller parlava e comunicava secondo un piano («Tutto ciò che non è di vitale importanza, sarà tagliato»). Un piano già scritto il 6 ottobre del 2015, a meno di un mese dallo scandalo.
In quegli stessi giorni, l’azienda reagiva anche sul fronte della comunicazione, controllando la sbandata che rischiava di portare l’immagine social del Gruppo verso un vicolo cieco. L’episodio più critico accade il 21 settembre 2015. Gli account americani Twitter e Facebook sono in silenzio dal giorno in cui l’Epa - l’agenzia per la protezione ambientale americana - ha reso noto lo scandalo. Ma quel giorno l’account globale di Vw compie un passo falso. Pubblica un post - probabilmente programmato, scappato quindi alla task force che in quel momento stava gestendo la crisi dedicato all’IAA2015, fiera tedesca con respiro internazionale dedicata al mondo dei veicoli commerciali. Il post (nello screenshot a lato) non fa alcun riferimento ai fatti di cronaca, appare sospeso in una bolla comunicativa, che viene però immediatamente fatta scoppiare dagli utenti del social. Anche in modo duro. I fan sfogavano la loro rabbia, sia nelle concessionarie, ma con eco ancora più vasta e potenzialmente devastante sui social. L’immagine del brand costruita in 70 anni di relazioni con i consumatori era a rischio sopravvivenza. Müller era stato sincero.
Le contromosse e gli evangelist
Volkswagen corre ai ripari progettando la comunicazione come fosse un prodotto. Apre un sito dedicato (http://vwdieselinfo.com), ancora oggi online, che permette ai proprietari di auto del gruppo di conoscere se la loro auto è tra gli 11 milioni di veicoli coinvolti dal dieselgate. Apre una sezione Faq che aiuta a fare chiarezza tra i consumatori. Fino alla campagna di richiamo: un aggiornamento software gratuito che mette a norma l’auto «senza penalizzare le prestazioni». Quest’ultimo aspetto era quello più sentito dai consumatori, attenti più al prodotto che all’aspetto normativo-ambientale. Qualcuno dubitò, ma man mano che i motori venivano aggiornati si capì che l’operazione aveva effetti impercettibili per il conducente. I proprietari potevano continuare a guidare la loro macchina: soddisfatti, come era stato fino al 14 settembre 2015. Intanto, sui social iniziano a farsi sentire anche gli “evangelisti” del brand: clienti fedeli, magari da generazioni, che continuano ad affermare la bontà delle vetture del marchio.
Nuovo logo, vecchi prodotti
Oggi l’ex capo di Volkswagen Martin Winterkorn rischia fino a 25 anni di carcere. Il Gruppo - che ha annunciato un imminente restyling del logo - si è rinnovato, è tornato a contendere la vetta della classifica mondiale dei costruttori, ha riportato gli utili sui livelli pre-scandalo. Il dieselgate si è allargato, ha coinvolto anche altri produttori, di fatto diluendo il suo impatto sui singoli brand. L’attenzione è tornata sui prodotti. E quelli del gruppo Volkswagen sono sempre più apprezzati. Lo dicono i dati. «I consumatori sono pragmatici ha dichiarato Ferdinand Dudenhoeffer, professore di economia aziendale e del mercato dell’automobile all’Università di Duisburg -. Per loro è molto più importante il valore del prodotto: se le macchine funzionano bene, i marchi forti possono sopportare parecchio». È così che Das auto è diventato Das brand. E ha riacceso il futuro.